COMO
Al termine della lettura della sentenza che lo ha condannato all’ergastolo, Ridha Mahmoudi, il tunisino di 53 anni a processo davanti alla Corte d’Assise di Como per l’omicidio di Don Roberto Malgesini, è rimasto qualche minuto seduto. Come a inscenare una commozione che mai ha mostrato in questi mesi, a partire dal giorno del delitto, avvenuto il 15 settembre dello scorso anno davanti alla chiesa di San Rocco, a Como. Ma nemmeno durante il processo, durante il quale ha più volte ribadito che il sacerdote "ha sbagliato e ha pagato". Lo aveva accoltellato quella mattina poco prima delle 7, mentre il don Roberto stava caricando la sua Panda con i sacchi contenenti le colazioni che ogni giorno distribuiva ai senzatetto di Como. L’omicida gli ha detto di aver mal di denti e il sacerdote ha risposto che lo avrebbe portato in ospedale, aiutandolo ancora una volta, come faceva da anni.
«L’ultimo atto di carità – ha detto il pubblico ministero, Massimo Astori, nel ricostruire quei minuti – rivolto a un uomo che stava studiando il momento per ucciderlo". Una sequenza di 25 coltellate che lo hanno raggiunto ovunque, le prime cinque o sei rapidissime, come si vede nelle immagini delle telecamere installate dalla parte opposta della piazza, proiettate ieri in aula, che mostrano chiaramente il braccio di Mahmoudi abbattersi ripetutamente sulla vittima. Poi un taglio profondo al collo, gli sfregi al volto e la coltellata al polmone che non gli ha lasciato scampo. Mentre sui monitor passavano queste riprese video e le foto del ritrovamento del sacerdote ormai senza vita, Mahmoudi ha voltato le spalle all’aula, fissando ostinatamente il muro della cella. Il motivo che ha scatenato questo delitto, sempre “rivendicato” dall’omicida, come ha sottolineato il pm, è stato chiaro fin da subito: la convinzione inestirpabile che il sacerdote, dietro all’aiuto che gli garantiva da anni, nascondesse in realtà la volontà di allontanarlo dall’Italia.
CronacaDon Malgesini, ergastolo al killer. Lui volta le spalle e non si pente