"Cucire le reti è un’arte" E Rundela svela il segreto

La tecnica è la stessa da centinaia di anni e oggi è custodita da Carlo Barbieri. Suo figlio Luciano le usa per andare a pescare sul Sebino a bordo del “naett”

Migration

di Milla Prandelli

Sul lago d’Iseo continuano tradizioni ancestrali, come quella di "cucire" le reti da pesca. I materiali sono cambiati, ma non la tecnica: che è la stessa da centinaia di anni e che oggi è custodita da Carlo Barbieri, conosciuto come "Il Rundela": l’ultimo dei pescatori di Clusane sul Lago in grado di realizzare le reti, che suo figlio Luciano usa per andare a pescare sulle acque del Sebino a bordo del "naett": l’imbarcazione in legno tipica della zona. "Un tempo usavamo fibre naturali, come il cotone, poi siamo passati al nylon e ora alla plastica – spiega Carlo Barbieri – devo dire che quest’ultimo è il materiale più facile da usare, perché leggero e perché difficilmente si rompe". Il modo di tessere è quello del passato.

"I gesti sono gli stessi di quando ero ragazzo – dice Barbieri – solo che con la plastica si fatica meno. Ci sono anche meno rotture rispetto a quando si usava il cotone, con meno perdite economiche". Le mani del pescatore, che in mano tiene una navetta in tutto e per tutto identica a quelle che probabilmente usavano sua madre e suo padre, volano tra i fili, creando nodi che, piano piano, diventano strumento per la pesca del pesce siluro, l’unico consentito in deroga, due giorni alla settimana, in questo periodo. È appena all’inizio del lavoro, che durerà circa una settimana. "Devo fare circa 100 metri di rete - spiega l’uomo- impiegherò sette giorni". Le complicate operazioni sono svolte all’aperto, con la rete attaccata alla ringhiera di una finestra e con l’aiuto di una sedia. A fare compagnia a "Rundela" sono il sole, i pochi pescatori di professione del paese di rientro al porto dopo la battuta di pesca dell’alba e qualche turista che si ferma incuriosito a guardare che cosa sta accadendo.

"Cucire" le reti mi piace – dice Carlo Barbieri – è un lavoro molto meno faticoso che uscire sul lago a pesca. Posso farlo quando c’è bel tempo e non devo alzarmi di notte come mio figlio e i suoi colleghi. Non mi lamento assolutamente, anche se ammetto che gli anni trascorsi sulle acque del lago sono stati davvero belli, anche se faticosi". Vicino a dove lavora Bosio, tra reti e oggetti per la pesca c’è pure un antico strumento, che sul lago d’Iseo si chiama "paröla". "Grazie alla tecnologia, per fortuna, questa non dobbiamo più usarla – conclude Carlo Barbieri – serviva a cuocere le reti. Le bollivamo per ore con le bucce delle castagne, per renderle più forti. Si faceva anche sette o volte l’anno. Era davvero pesante, ma ci serviva ad evitare buchi e guasti. Il pesce, che in passato era abbondantissimo, per noi pescatori è sempre stato un amico prezioso. Non volevamo rischiare di perderlo. Oggi ce ne è talmente poco che lo consideriamo ancora più prezioso".