Gli abusi di don Mangiacasale, la condanna deve essere rivista

La Cassazione accoglie parzialmente il ricorso dei difensori

Marco Mangiacasale

Marco Mangiacasale

Como, 13 maggio 2015 - La condanna definitiva di Marco Mangiacasale, 51 anni, deve essere rideterminata. Per questo la Corte di Cassazione, ha parzialmente accolto il ricorso presentato dai suoi legali e rinviato alla Corte d’Appello affinché ricalcoli la quantificazione finale della pena. L’ex sacerdote, che per anni è stato alla guida della parrocchia di San Giuliano, e poi spostato all’Economato della Diocesi, rispondeva di alcuni episodi di violenza sessuale avvenuti a partire dal 2008. Le vittime erano adolescenti, frequentatrici della parrocchia, avvicinate in un contesto circoscritto e confidenziale, quando avevano tra i dodici e i tredici anni, e quasi sempre frequentate per almeno tre o quattro anni.

Una vicenda esplosa quando una di loro aveva denunciato le attenzioni che riceveva dal sacerdote. La Corte d’Appello di Milano, lo aveva condannato a 3 anni 5 mesi e 20 giorni di carcere per cinque casi, concedendogli le attenuanti generiche che non erano invece state considerate in primo grado dal giudice di Como. Accogliendo parzialmente il ricorso della difesa, i giudici di Cassazione affermano che per gli accadimenti successivi al 30 settembre 2009, quando Mangiacasale da parroco divenne economo della Diocesi, deve essere prosciolto in quanto il «fatto non sussiste».

Infatti, affinché si possa continuare a parlare di «affidamento», il contatto tra il minore di 16 anni e il sacerdote, deve avvenire «in ragione della funzione esercitata, cioè quella di parroco, perché diversamente non sarebbe configurabile il rapporto di affidamento per ragioni di istruzione, educazione o vigilanza» richiesto dall’articolo del codice penale che configura i reati commessi da Mangiacasale. I giudici riconoscono tuttavia che Mangiacasale aveva continuato ad abitare al piano superiore della sua ex parrocchia, e sempre in qualità di sacerdote, «ma non aveva continuato a svolgere nei confronti delle minori, quella funzione tipica del parroco, nemmeno occasionalmente». Gli incontri con le due ragazze la cui frequentazione si era protratta oltre quella data, erano avvenuti «fuori dal contesto parrocchiale, di regola a casa del medesimo sacerdote».

Su tutto il resto della sentenza, la Cassazione ribadisce che i fatti non possono essere ritenuti di lieve gravità, quando «commessi da un sacerdote nel contesto della parrocchia a lui affidata, luogo deputato alla crescita spirituale, all’educazione e alla formazione umana».