Como, 16 settembre 2024 – L’uso di sostanze stupefacenti sul luogo di lavoro, in particolare mentre si è in servizio all’interno di una struttura penitenziaria, “integra obiettivamente una condotta grave, implicando anche ripetuti contatti con persone dedite allo spaccio, nei cui confronti l’agente è chiamato all’esterno a reprimere i traffici e all’interno a svolgere un compito non di semplice custodia, ma anche di partecipazione alla rieducazione e al recupero”. Tanto più che l’incremento del mercato degli stupefacenti “costituisce causa di turbativa dell’ordine pubblico e di allarme sociale”. Con queste motivazioni, il Tar del Lazio ha ora definitivamente rigettato la richiesta di reintegrazione di un assistente capo di polizia penitenziaria in servizio nel 2018 al Bassone di Como, finito nelle intercettazioni di una indagine condotta dai carabinieri di Como su un giro di spaccio di droga in carcere.
Era infatti emerso che all’assistente capo, e a un collega agente di penitenziaria che avrebbe da lui ricevuto lo stupefacente, non potevano essere attribuite condotte di spaccio di droga, come invece agli altri detenuti finiti sotto indagine, ma fondati illeciti disciplinari, come recepito anche dal Tar, tali da confermare la massima sanzione prevista, quella della destituzione dal servizio. Le posizioni dei due poliziotti penitenziari erano state archiviate, ma per l’assistente capo, nel frattempo trasferito in Calabria e sospeso cautelativamente dal servizio, era giunto il licenziamento. I giudici parlano di “mancanza del senso dell’onore o del senso morale”, “grave contrasto delle condotte con i doveri assunti con il giuramento” e “dolosa violazione dei doveri”.