
Carabinieri in piazza
Como, 3 aprile 2019 - «La ‘ndrangheta esiste: in Calabria, Lombardia, a Como e a Cantù. Lo dicono le sentenze passate in giudicato e lo abbiamo visto anche in questo processo, con i testimoni che mostrato la loro paura, e che ne hanno subito la presenza». Una lunga parte della requisitoria del pubblico ministero della Dda di Milano Sara Ombra, si è concentrata sulla sussistenza dell’associazione mafiosa contestata a tre dei nove imputati del processo iniziato lo scorso ottobre, in seguito agli arresti del settembre 2017. Giuseppe Morabito, ritenuto figura centrale, così come lo zio Domenico Staiti, ex gestore del bar Crystall e l’altro nipote, Rocco Depretis. «La paura – ha proseguito il pm – non è per il singolo episodio, ma per la forza di intimidazione di quei soggetti. Chiunque non si assoggetta, viene brutalmente aggredito, anche per il solo fatto di aver rifiutato una birra».
Come nel caso di un ragazzo picchiato il 10 gennaio 2016, colpito «con una violenza inaudita» dice il pm: è l’unica parte civile costituita nel processo, per cui la difesa ha chiesto un risarcimento di 25mila euro. «Giuseppe Morabito – prosegue l’accusa – va a trovare il capo della locale di Mariano, Salvatore Muscatello, mentre è ai domiciliari, e non era certo una visita di cortesia. E’ imputato di tutti i reati, si vanta di aver allontanato gli albanesi dalla piazza Garibaldi, decide chi deve entrare in discoteca, dirime le controversie, esercita il recupero crediti, interviene persino per ritrovare la refurtiva di un furto in abitazione. Perché i mafiosi fanno propri i poteri dello Stato: sono giudici penali e civili, intervengono e risolvono, sono tutto». In particolare, la condotta tenuta con i gestori dei locali pubblici della piazza Garibaldi, avrebbe avuto un fine specifico e chiaro: «Dopo aver disseminato violenza, per i proprietari dei locali era quasi diventato un’ancora di salvezza: aveva creato il bisogno di protezione, per poi offrire quella protezione». Morabito, secondo l’accusa, si sarebbe comportato esattamente come prevedono le associazioni criminali: «Mettersi a disposizione dell’associazione, e poi incrementare l’attività sul territorio. Rendere evidente la presenza anche attraverso fatti di violenza: la ‘ndrangheta esiste perché viene riconosciuta dalla società. Non a caso, quando cambiano gli equilibri criminali, come avvenuto a Cantù dopo l’aggressione a Ludovico Muscatello, ci sono sempre episodi di violenza».
Al termine di otto ore di requisitoria del pubblico ministero della Dda Sara Ombra, sono arrivate richieste di condanna per quasi 114 anni per i nove imputati dell’indagine Ignoto23, accusati di aver messo in atto tra 2015 e 2016 una serie di aggressioni, danneggiamenti, estorsioni ai danni dei titolari di locali pubblici in centro a Cantù, e dei loro clienti. La richiesta di pena più alta, 18 anni di reclusione, è giunta per Giuseppe Morabito, 31 anni, appartenente all’omonima famiglia calabrese e residente a Cantù. E’ accusato di essere stato il referente del gruppo che per mesi ha creato uno stato di terrore nella zona di piazza Garibaldi, con l’obiettivo di ottenere la gestione dei servizi di sicurezza nei locali. Per i coimputati Domenico Staiti, 44 anni e Rocco Depretis, 22 anni, sono stati chiesti 16 anni di carcere: tutti e tre sono accusati di associazione mafiosa.
Staiti e Depretis sono già stati condannati per le lesioni a colpi di pistola a Ludovico Muscatello, nipote del boss della locale di ndrangheta di Mariano Comense, aggredito il 10 ottobre 2015 vicino alla discoteca Spazio Renoir di Cantù. Per gli altri imputati, a cui viene contestato di aver agito con metodo mafioso nel partecipare alle risse e non pagare le consumazioni nei locali, sono state chieste pene inferiori: 12 anni per Antonio Manno, 22 anni di Cantù e Valerio Torzillo, 23 anni di Cermenate, e Jacopo Duzioni, 25 anni di Cermenate, 10 anni e 6 mesi per Manuel Zuccarello, 28 anni di Cermenate, 10 anni per Andrea Scordo, 32 anni di Africo, tutti detenuti in carcere, e 9 anni e 4 mesi Luca Di Bella, 27 anni di Vertemate con Minoprio, unico agli arresti domiciliari. La sentenza è attesa tra due settimane.