Campione d'Italia, amarezza al presidio dei lavoratori: "Il casinò non doveva fallire"

Dopo la decisione della Corte d'Appello di Milano che ha 'smentito' il Tribunale fallimentare di Como

Il presidio a Campione d'Italia

Il presidio a Campione d'Italia

Campione d'Italia (Como), 12 marzo 2019 - «La corte di Appello di Milano ha detto quello che ripetiamo da mesi: la nostra casa da gioco non doveva fallire. Il problema è che ha vinto il casinò, noi abbiamo perso perché a gennaio siamo stati tutti licenziati».

C’è amarezza nelle parole dei dipendenti del Casinò Campione d’Italia che anche ieri, come fanno dal 27 luglio scorso quando il Tribunale fallimentare di Como ha fatto mettere i sigilli sull’imponente struttura progettata da Mario Botta, si sono ritrovati in piazza dei Maestri Campionesi, sotto il tendone del presidio permanente allestito di fronte al municipio. «Abbiamo letto la sentenza e siamo in contatto con i nostri legali per capire cosa potrà accadere adesso – spiega Matteo Guanziroli, della segreteria della Uilcom – Questa decisione annulla il fallimento ma non i licenziamenti che rimangono validi malgrado a dicembre avessimo chiesto ai curatori di sospendere ogni loro decisione in attesa della pronuncia della Corte d’Appello». 

Invece la decisione è stata presa e 469 lavoratori hanno perso il loro posto, nella migliore delle ipotesi per avere il riconoscimento della Naspi il cui primo assegno è stato versato a molti, ma non a tutti, solo il mese scorso. «Mille euro lordi – si lamentano gli ex dipendenti – che a Campione non servono a niente contando che l’affitto di un monolocale costa più di mille franchi al mese». Intanto al presidio si continua a tenere la triste contabilità delle perdite della casa da gioco da quando è stata chiusa. «Siamo arrivati a quota 46 milioni di franchi (40 milioni e 447mila euro ndr.) dopo 226 giorni di chiusura – spiega Caterina Ferrari, ex dipendente della casa da gioco insieme al marito – Per una decisione sbagliata, adesso possiamo dirlo visto che anche i giudici si sono espressi, si è fatto morire un paese». Adesso la speranza di tutti è che la casa da gioco possa riaprire. «Per farlo occorrerà investire altri 15/20 milioni di franchi – risponde Alessandra Bernasconi, che era responsabile del Marketing al casinò – e serviranno settimane di lavoro, poi rimane la grossa incognita di riuscire a far tornare i nostri clienti. Uno di loro è venuto a trovarci proprio questa mattina, aveva saputo della sentenza e voleva sapere quando riapriamo».

Nessuno può saperlo, neppure il vicesindaco Alfio Balsamo che non riesce a nascondere la propria amarezza di fronte a un disastro che poteva essere evitato. «Mi chiedo a chi ha giovato tutto questo? – si interroga – Non allo Stato che ha perso 500mila euro per la concessione della licenza al gioco e altri 10 milioni di proventi più le tasse di lavoratori e residenti che sono senza più un lavoro e quindi un reddito. Ringrazio i nostri legali, che ci siamo pagati di tasca nostra, per aver dimostrato quello che sapevamo fin dall’inizio: la casa da gioco non doveva essere chiusa. Lo avevamo detto anche al commissario ad acta che ci hanno mandato dalla Prefettura quando il Comune è finito in dissesto. Doveva aiutarci a salvare il paese e rifiutandosi di firmare l’atto che ci avrebbe permesso di andare di fronte ai giudici lo ha affossato. A questo punto mi chiedo se non siano gli estremi per il danno erariale».<