PAOLA PIOPPI
Cronaca

Cantù, bimbo morto: medico a processo

Non visitò la madre all’ottavo mese di gravidanza. L'accusa è di aborto colposo

Il Pronto soccorso di Cantù

Cantù (Como), 16 ottobre 2018 - La visita in Pronto soccorso non era avvenuta, e la conversazione con il medico era durata una manciata di minuti, nonostante i forti dolori all’addome lamentati dalla donna, che aveva superato l’ottavo mese di gravidanza. Era stata dimessa in piena notte, con la prescrizione di un lassativo. Ma nel giro di cinque ore, quei dolori erano aumentati, fino alla morte del feto. Una vicenda che risale alla notte del 4 agosto 2013, che ora ha portato a processo a Como il medico in servizio al pronto soccorso dell’ospedale di Cantù, Antonella Bertacchi, 55 anni, accusata dal pubblico ministero Antonio Nalesso di aborto colposo. Ieri ha testimoniato il marito della donna: «Non le ha fatto la visita – ha detto al giudice monocratico Cristiana Caruso -. L’incontro è durato tre i cinque e gli otto minuti, ma non l’ha fatta spogliare né toccata».

La coppia, costituita parte civile nel processo, aveva fatto ingresso in pronto soccorso alle 5, per uscire alle 5.20, con la raccomandazione di assumere un lassativo: «Deve scaricarsi», aveva concluso il medico. Marito e moglie avevano cercato una farmacia e seguito l’indicazione ricevuta in ospedale, ma nelle ore successive la situazione era precipitata. Alle 10 della mattina dopo si erano rotte le acque, marito e moglie erano tornati all’ospedale di Cantù, dove la donna era stata trasferita d’urgenza in ambulanza al Sant’Anna di Como. Ma qui non potevano fare più nulla: «Mi dispiace, la vostra bambina è morta», aveva detto il medico al marito, uscendo dall’ambulatorio. Il feto era in posizione podalica, andato incontro a un soffocamento. Ieri è stata sentita anche la testimonianza del perito nominato dal giudice. «Il protocollo – ha spiegato – prevede una serie di domande per verificare la condizione di reni e stomaco, ma deve essere presa in considerazione anche la possibilità di un principio di travaglio. Per questo la paziente deve essere trattenuta in osservazione. In questo caso, pare che nessuno abbia valutato la possibilità di una contrazione dell’utero». Inoltre il perito ha escluso la responsabilità dei medici del Sant’Anna: «Qui è arrivata in condizioni drammatiche – ha detto - non si poteva più fare nulla». Il processo prosegue a fine febbraio per ascoltare i consulenti della difesa, e potrebbe concludersi a fine marzo.