FEDERICO MAGNI
Cronaca

Affitti troppo alti, Como perde i suoi negozi

Attratti dai numeri del turismo, i grandi gruppi fanno lievitare l’offerta ma la città murata si trasforma in un centro 'omologato' a tanti altri

La famosa cremeria “Bolla” che era aperta dal 1893

Como, 10 novembre 2019 - Canoni d’affitto troppo alti, da capestro, stanno strangolando le attività del centro storico. «Affitto solo a grosse società con altri negozi aperti in città, o centri commerciali», si legge da qualche giorno sulla vetrina di un’attività dismessa di una via centrale, e così il fulcro di Como perde velocemente i suoi negozi caratteristici e si trasforma in un centro dello shopping “omologato” a tanti altri. Ai turisti che si ammassano fra le strette vie della città murata, spogliate dalle sue attività storiche, potrebbe sembrare di passeggiare in una qualsiasi via di Milano. Il castrum romano rischia così di diventare un grande centro commerciale. Un braccio di ferro quello fra proprietari degli immobili e negozianti che pende sempre più a favore dei primi, ma che sta evidentemente impoverendo il centro storico.

I comaschi con più memoria ricorderanno il “Liberti” in via Diaz che confezionava guanti da donna di grande classe e che vantava anche Carolina di Monaco fra i suoi clienti, l’antica drogheria “Marzorati” in piazza San Fedele, la “Somaini” di via Indipendenza con i suoi banconi e scaffali antichi. “Baragiola e Zeppi”, sempre nella stessa via, vendeva dischi ed era un riferimento per gli appassionati di musica. Poco distante c’era la “Macelleria Marastoni” con il suo grande bancone di marmo bianco, “Del Vitto” in via Muralto vendeva le interiora dei polli e di altri animali, “Franzi”, all’angolo di via Vittani, preparava i dolci che piacevano tanto alla “Como bene”. “Nardin” in via Collegio dei Dottri vendeva stoffe e “Bergna” in via Odescalchi, che oltre a essere una ferramenta, sembrava un grande bazar. Ad agosto ha chiuso poi la famosa cremeria “Bolla”, aperta dal 1893 e sempre appartenuta alla famiglia Carenzio.

Tutte queste attività storiche sono ormai un ricordo per chi frequentava Como, ma rischiano di esserlo anche quei negozi che ancora faticosamente resistono alla concorrenza delle grandi catene, minacciati però da affitti da capogiro. Ci sono poi diverse attività aperte anche da poco che con grande sacrificio provano a inventarsi di tutto per continuare a distinguersi. Coraggio premiato da clienti affezionati, ma alla fine del mese tutto l’impegno viene vanificato dalle migliaia di euro che si volatilizzano per l’affitto. Una situazione che travolge anche i luoghi del “sapere”. 

Qualche anno fa se ne sono andate le librerie Capriotti e Meroni in via Vittorio Emanuele, che erano dei centri culturali assai frequentati. Quest’anno ha chiuso anche un’altra frequentatissima libreria, la Mentana. Piccolissima, ma fortissima, era la libreria di Federico Roncoroni, insegnante di greco e latino in pensione, scrittore famoso, autore di grammatiche per Mondadori. «È il problema della desertificazione dei centri - commenta l’avvocato Giovanni Ciceri, presidente di Confcommercio Como. - Città come Erba e Cantù la stanno già vivendo. Como è a un passo prima. Attratte dai numeri del turismo le grandi catene fanno investimenti sulla città e così aumenta il prezzo dell’offerta. Premesso che uno affitta a chi vuole, io penso però che sia profondamente sbagliato farlo solo con i grandi gruppi. All’inizio può essere allettante, ma rischia di trasformarsi in un boomerang perchè nel momento stesso in cui non raggiungono ceri numeri se ne vanno immediatamente. Affidarsi a questo tipo di clientela è bello per Milano, non per Como. Quello che deve fare la città, e che dovrebbe essere il compito di un’amministrazione, è tutelare e dare vantaggi a chi ha una storia o una specicificità. Servono defiscaliazzioni e un minore peso della burocrazia. Serve un occhio diverso e una posizione normativa a seconda della struttura delle società».