PAOLO CITTADINI
Cronaca

In Valtrompia non c’è mafia: tutti assolti

Emesse solo due condanne per reati di evasione fiscale

Il tribunale

Brescia, 10 marzo 2017 - In Valtrompia non c’era nessuna locale di ‘ndrangheta. Così ha stabilito la seconda sezione penale del tribunale di Brescia, presidente Anna Di Martino, che ha infatti assolto Giuseppe Piromalli, Salvatore Rachele, Giovanni Tigranate e Giuseppe Quaranta accusati di associazione a delinquere di tipo mafioso perché come scriveva il gip rinviandoli a giudizio: "Si associavano progressivamente tra loro e con altre persone dando vita, tra il 2007 e il 2008 a una associazione di tipo ’ndranghetistico affiliata ad un più ampio sodalizio radicato in Calabria ed in particolare nella frazione di Messignadi di Oppido Mamertina".

Secondo gli inquirenti il gruppo valtriumplino e i calabresi avrebbero sancito il loro patto in una cascina di Orzinuovi il 24 novembre del 2007. Il tutto per gli investigatori sarebbe stato suggellato dal tipico pranzo a base di carne di capra. Ieri i quattro sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Già il pm Paolo Savio, titolare dell’inchiesta ribattezzata Mamerte (dal nome del centro calabrese in provincia di Reggio Calabria) che ha visto finire alla sbarra complessivamente dodici persone (inizialmente una quarantina le persone coinvolte, 14 delle quali per mafia) accusate a vario titoli di reati fiscali e legati allo spaccio. Il processo si è concluso ieri nel pomeriggio quando la corte dopo circa 4 ore di camera di consiglio è tornata in aula con la sentenza.

Due sole le condanne emesse ed entrambe per reati fiscali legati ad una serie di episodi di evasione. A un anno e due mesi è stato condannato Francesco Scullino (già condannato in precedenza e che quindi ha visto la pena, già praticamente scontata, a 4 anni e 6 mesi), mentre sei mesi di reclusione è la pena per Marco Plebani (la precedente condanna è quindi salita a 2 anni e 11 mesi). Tutti gli altri imputati sono stati assolti dai reati che gli venivano contestati. Il tribunale ha inoltre chiesto il sequestro per circa 5 milioni di euro depositati in conti svizzeri e singaporiani. Il denaro è al momento bloccato in attesa che il tribunale di Bergamo si pronunci sull’ipotesi di riciclaggio. La palla però poi passerebbe alle autorità elevetiche che possono impedire il sequestro se venisse dimostrato che il riciclaggio non è avvenuto in seguito a bancarotta.