
Tiziano Ronchi, il professore bresciano accusato di aver sottratto cimeli archeologici in un tempio nepalese, punta tutte le fiche sulla sua innocenza – certezza che non l’ha mai abbandonato – e torna in Italia. Sembrava che per rivederlo a casa si sarebbe dovuto attendere il 21 aprile, data in cui dovrebbe arrivare la decisione delle autorità locali in seguito all’udienza di ieri, invece il docente ha deciso di giocare d’anticipo.
Troppo forte, evidentemente, anche la nostalgia di casa, della famiglia e dei suoi studenti dell’Accademia Santa Giulia, così come della sua amata Val Trompia. Da qui la decisione del ventisettenne di Sarezzo, i cui effetti però potrebbero rivelarsi un boomerang, se i giudici dovessero dare ragione all’accusa, ostinata nel contestare il furto al professore.
Il rientro a casa
Ronchi è tornato di sua spontanea volontà senza aspettare la conclusione del processo che è ancora in corso. “Non è richiesta la mia presenza in aula ma basta quella dell'avvocato nepalese (procurato al docente del Consolato, che ha sempre seguito con attenzione la vicenda) – ha affermato il professore, prima di fare ritorno a casa dai familiari – Saldo nella certezza della mia innocenza, ho preso questa decisione consapevole che questa mia scelta potrebbe influire sul verdetto dei giudici, sbilanciandolo a favore dell'accusa”.
Evidentemente Ronchi è incrollabile nella sua convinzione di non aver fatto nulla di male, avendo sempre ribadito di essere vittima di un fraintendimento e avendo chiarito di considerare infondate le accuse di furto che gli sono rivolte. Attenderà quindi il verdetto in Italia, consapevole che un’eventuale “vittoria” dell’accusa lo costringerebbe a fare ritorno in Nepal. E, questa volta, probabilmente non in autonomia.