
In Lombardia gli iscritti sono 232
Sempre più detenuti (e detenute) universitarie, con percorsi anche molto positivi, nonostante i grossi ostacoli che l’amministrazione penitenziaria, a livello centrale, non ha ancora rimosso. Il nuovo rapporto Cnupp, presentato nell’assemblea annuale della Conferenza Nazionale di delegati e delegate di rettori e rettrici per i poli universitari penitenziari conferma il consolidamento e l’ampliamento delle iniziative dedicate alla diffusione dell’istruzione universitaria negli istituti penitenziari d’Italia. In Lombardia, per l’anno accademico 2024-2025, gli iscritti sono 232 (163 alla statale di Milano, 100 in Bicocca, 14 a Bergamo, 2 a Brescia). "Negli anni – spiega Luisa Ravagnani, delegata Cnupp per l’Università degli studi di Brescia – si è vista un’attenzione sempre crescente, più delle università verso il carcere che del carcere verso l’università". Gli atenei hanno, infatti, aperto le porte, aderendo alla rete nazionale, permettendo ai detenuti e alle detenute di iscriversi ai corsi di laurea. Non ci sono facilitazioni: sono studenti come gli altri, che devono affrontare gli stessi esami e che, per iscriversi, necessitano dai titoli richiesti a tutti. "Giustamente non ci sono facilitazioni nei programmi – spiega Ravagnani – ma, allo stesso modo, le persone in stato di detenzione non dovrebbero avere ostacoli che gli altri studenti fuori dal carcere non hanno. Invece, l’amministrazione penitenziaria, a livello centrale, fatica a entrare nell’ottica che, per studiare adeguatamente, dovrebbero esser lasciati tranquilli. Banalmente, dovrebbe esser garantito il collegamento internet in modo continuativo, fondamentale per studiare e seguire le lezioni. Oppure dovrebbe ricordare che i tirocini sono importanti e che bisogna trovare il modo per farglieli svolgere". "Studiare cinque anni anziché far nulla non è cosa da poco – ricorda Ravagnani –. Ma bisogna offrire strumenti adeguati, altrimenti diventa scoraggiante". Federica Pacella