"Quel buco nel braccio non rilevante per la morte"

Brescia, le motivazioni dell’assoluzione di chi uccise per overdose Francesca

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di Beatrice Raspa

"Francesca è deceduta a seguito dell’iniezione di eroina eseguita dietro sua richiesta da Paloschi, il quale poco prima aveva fatto lo stesso su di sé". Ciononostante, l’imputato va assolto "perché il fatto non costituisce reato". Idem l’amica coetanea della vittima, che aveva partecipato al festino. In 73 pagine dense di ragionamenti giuridici il gup Christian Colombo ha motivato le ragioni dell’assoluzione di Micheal Paloschi, 34 anni, e di Francesca Rinaldi, 24, a processo per la morte di Francesca Manfredi, la 24enne di Brescia stroncata da un mix di droghe pesanti e alcol la notte del 23 agosto 2020, al culmine di tre giorni di sballo chimico.Il pm Benedetta Callea contestava a Paloschi l’omicidio preterintenzionale, avendo lui - stando all’accusa - iniettato la dose di eroina alla vittima che poi le fu fatale. Per il giudice non ci sono dubbi sul fatto che a iniettare il quarto di dose di eroina a Manfredi sia stato Paloschi, che in realtà però aveva negato di aver premuto lo stantuffo: la vittima aveva un buco nel braccio destro ed era destrorsa, sottolinea Colombo, impossibile che Francesca abbia fatto da sola. Il gup ha sposato la tesi accusatoria sostenendo che quella dose fu mortale per Francesca, già intossicata, "la goccia che fece traboccare il vaso di un bicchiere già pieno". Tuttavia l’imputato non può dirsi responsabile di omicidio preterintenzionale: "E’ escluso che il foro nel braccio possa essere qualificato come lesioni personali rilevanti ai fini del decesso", si legge nelle motivazioni.

"Emerge chiaramente che la richiedente Manfredi e l’esecutore Paloschi non volessero la morte ma solo un momentaneo rallentamento del funzionamento dell’organismo, va dunque esclusa l’integrazione del reato sotto il profilo oggettivo". Non solo. "L’omicidio preterintezionale prevede il dolo per l’evento voluto". Emerge una chiara "divergenza tra quanto voluto e quanto causato che esclude l’esistenza del dolo di lesioni". Manfredi era "consapevole, ma non voleva certo correre il rischio di morire". E non aveva riportato danni evidenti dalle numerose assunzioni pregresse, circostanza che nell’ottica di Paloschi "gli ha impedito di percepire imminenti pericoli di morte". Stesse considerazioni di mancata percezione di pericolo imminente valgono per l’amica Rinaldi, imputata di avere chiamato troppo tardi i soccorsi. Per lei il pm aveva chiesto 10 mesi. Invece il gup l’ha assolta.