Aumento della mobilità, cambiamenti climatici, sottovalutazione della prevenzione. C’è il mix di questi fattori dietro l’aumento della circolazione e delle infezioni da virus tropicali. Lo sottolinea Francesco Castelli, infettivologo, primario in Asst Spedali Civili nonché rettore dell’Università degli studi di Brescia. "L’aumento di casi – spiega – dipende da due fenomeni. C’è l’aumento della mobilità umana, di persone che viaggiano per lavoro, studio, vacanza. Il secondo aspetto riguarda i cambiamenti climatici, che fanno sì che alcune tipologie di malattie infettive siano in aumento, perché con la crescita delle temperature aumenta l’intensità e la concentrazione dei vettori che sono infetti".
C’è poi una certa disattenzione rispetto alla prevenzione. "Aumentano i viaggi, ma non la consapevolezza della necessità di fare prevenzione nella nostra popolazione. Con i viaggi last minute, ad esempio, è difficile avere il tempo per fare le visite preventive, e ciò aumenta la possibilità di contagi". Prevenire, in effetti, è possibile. "Per la febbre gialla o il tifo c’è la vaccinazione. Di recente c’è anche un vaccino per la febbre Dengue. E poi ci sono norme comportamentali, come stare lontano dagli animali selvatici, coprirsi, non bere acqua potenzialmente contaminata". Con l’aumento dei casi autoctoni, ci si sta preparando però a riconoscere i sintomi di queste patologie anche in chi non è viaggiatore. "A noi infettivologi è sempre stato insegnato che la prima domanda da fare riguarda proprio la provenienza. Ora non possiamo più basarci solo su questo, perché vediamo pazienti positivi pur non avendo mai lasciato la propria casa. Al Civile, abbiamo una piccola unità dedicata alle patologie tropicali, ma anche nei nostri corsi di medicina inseriamo sempre più nozioni su questi virus, perché ormai non possono essere più considerate esotiche, per cui bisogna esser pronti a saperle riconoscere". F.P.