BEATRICE RASPA
Cronaca

Padre muore d’infarto dopo la lite, il figlio patteggia 4 anni e 10 mesi

Castelmella, ha evaso i domiciliari e ha raggiunto l’abitazione del genitore per l’ennesimo diverbio. Accusato di omicidio preterintenzionale: nessun legame tra le percosse e il decesso del sessantasettenne

carabinieri nel luogo dove morì l'anziano

Ha patteggiato quattro anni e dieci mesi Alberto Andreoli, il 46enne di Torbole Casaglia finito a processo in abbreviato per l’omicidio preterintenzionale del padre Vittorio, 67 anni, stroncato da un malore durante un litigio furibondo. Era la sera del 31 gennaio scorso. Al culmine di un rapporto burrascoso con il genitore, il giovane Andreoli quella sera evase dai domiciliari, dove era ristretto per spaccio, e raggiunse l’abitazione del padre, nella corte in via Solone Reccagni a Castelmella. Tra i due i toni come accadeva spesso si alzarono, nacque l’ennesima lite furiosa a base di urla, insulti e spintoni.

Per sfuggire all’aggressione, Vittorio Andreoli si chiuse in bagno e all’improvviso il suo cuore cedette di schianto. Sanitari e carabinieri trovarono il 67enne ormai morto, il figlio ancora nell’abitazione, fuori di sé e in lacrime. Inizialmente l’accusa per Alberto, arrestato nell’immediatezza dei fatti, rimase in bilico tra l’omicidio preterintenzionale e volontario. Non era chiaro infatti quale peso avessero avuto le presunte botte inferte al genitore. L’autopsia però ha fatto chiarezza, permettendo al pm Alessio Bernardi di cristallizzare la contestazione: pur rilevando un nesso tra l’attacco cardiaco e le percosse, di cui v’erano i segni, il medico legale accertò che le stesse non sarebbero state in grado di uccidere.

Rimasto in silenzio davanti al gip lo scorso febbraio, in sede di processo l’imputato ha invece parlato e chiesto scusa. Non intendeva assolutamente ammazzare il padre, è la versione resa, e si è detto molto addolorato per il dramma. Un dramma nel quale avrebbe avuto un peso rilevante la sua dipendenza dalla cocaina. Ora però il 46enne avrebbe intrapreso un percorso di disintossicazione e riabilitazione. Il sostituto procuratore ha dato l’assenso all’applicazione di una pena concordata di poco inferiore ai cinque anni. E il giudice ha emesso il verdetto.