PAOLO CITTADINI
Cronaca

Delitto Brugna, non ci sarà un nuovo processo per Lorandi

La corte d’Appello non crede all’ipotesi amante avanzata dalla difesa del marmista condannato all'ergastolo per l'uccisione della moglie

Bruno Lorandi, 68 anni

Bruno Lorandi, 68 anni

Brescia, 2 marzo 2018 - Nessun nuovo processo per Bruno Lorandi. La corte d’Appello di Venezia ha infatti respinto l’istanza di revisione del processo presentata dall’avvocato Gabriele Magno, il legale bolognese del marmista di Nuvolera condannato all’ergastolo nel 2009 per la morte della moglie Clara Bugna. In meno di un’ora di camera di consiglio i giudici del capoluogo veneto hanno rimandato al mittente la richiesta di celebrare un nuovo processo per il 68enne bresciano.

L’ottimismo della vigilia dell’avvocato Magno è venuto meno intorno all’ora di pranzo quando la corte ha dato il suo parere negativo. Non è stata convincente l’ipotesi alternativa presentata dal legale secondo cui a uccidere Clara Bugna sarebbe stato un amante della donna. L’ipotesi non nuova, era già stata fatta emergere nel corso delle indagini subito dopo il delitto avvenuto nel 2007 su sollecitazione di un esposto anonimo, non ha però convinto i giudici veneziani. Per Magno l’uomo, sposato e padre di due figli, avrebbe ucciso Clara Bugna proprio per tenere nascosta la relazione extraconiugale. E non sarebbe stato l’unico motivo all’origine del delitto.

Secondo la ricostruzione dell’avvocato Magno l’uomo avrebbe dovuto a Clara Bugna e a suo marito Bruno Lorandi, finito al centro dei sospetti anche per la morte del figlio Christian (venne arrestato, poi scarcerato e infine prosciolto in sede processuale) scomparso nel nulla nel 1986 e ritrovato qualche settimana dopo senza vita sul monte Maddalena, 5 mila euro. Il suo nome sarebbe infatti comparso su un quaderno utilizzato dalla coppia per mettere nero su bianco tutti i movimenti economici della famiglia. Per la difesa di Lorandi l’omicidio sarebbe avvenuto proprio per evitare di saldare il debito. "In casa sono state isolate 28 impronte digitali – ha ricordato nel suo intervento in aula l’avvocato Magno –. Due però non sono mai state attribuite ad alcuna persona. Qui si cela il mistero. La persona di cui abbiamo fatto il nome, va identificata e le sue impronte digitali vanno confrontate con quelle trovate nella casa teatro del delitto". Per i giudici la ricostruzione difensiva non sarebbe suffragata da elementi certi. Per questo la corte d’Appello di Venezia ha deciso di respingere la richiesta di revisione del processo.