Cinque microchip sotto la pelle. Ognuno con la sua funzione. Benvenuti nel futuro. Alla faccia di chi vaticinava ipotesi strampalate come innesti forzati da parte di misteriose forze governative, c’è chi ha deciso volontariamente di impiantarsi un circuito integrato sotto il primo strato di epidermide.
Basta un gesto

Il bresciano Mattia Coffetti, esperto di sicurezza informatica e tecnico del suono, ha deciso di sperimentare su se stesso una tecnologia considerata finora di frontiera. A cosa servono i chip che ha sotto pelle? Per esempio a pagare in ristoranti, bar e negozi porgendo al cassiere il dorso della mano. O, ancora, per aprire la porta di casa senza utilizzare le chiavi. E persino ad accedere a siti internet e applicazioni senza doversi ricordare password e dati identificativi dell’utente.
I chip testati da Mattia sono fra i più evoluti prodotti al momento disponibili sul mercato. Si tratta di veri e propri minicomputer. Il costo? A sentire l’esperto di tecnologie quello utilizzato per pagare, come se fosse una tessera del bancomat, ha un prezzo di circa 200 euro.
Gli innesti
La comodità è indubbia. La sicurezza sul fronte della privacy altrettanto, dato che i microchip – in barba a tutte le teorie del complotto – non contengono strumenti di localizzazione. Ma come la mettiamo sul fronte della vera e propria operazione per l’inserimento del dispositivo sotto pelle? È dolorosa? Ci sono rischi per la salute?
Mattia rassicura: nessun pericolo. Quando si acquista il chip, infatti, vengono segnalati gli indirizzi di centri specializzati in piercing che effettuano l’innesto con un semplice intervento del tutto sicuro e condotto nel segno dell’igiene assoluta.
La filosofia
Al di là delle ragioni pratiche, Mattia sta conducendo un percorso dai connotati quasi filosofici. L’esperto del linguaggio di programmazione Linux (è anche docente) è un fervente sostenitore dell’integrazione delle nuove tecnologie nel corpo umano, con l’obiettivo di alimentare il progresso e il miglioramento delle condizioni di vita di tutti i giorni. La sua speranza è che i microchip, nel futuro, possano permettere sviluppi nel campo della salute, aiutando anche a trovare una cura a malattie neuro-degenerative come Parkinson e Alzheimer.