Marcheno, caso Bozzoli: il nipote in aula per il misterioso fucile

A Giacomo solo una multa per l’arma. Ma attende il processo per l’omicidio dello zio

Giacomo Bozzoli

Giacomo Bozzoli

Brescia, 31 ottobre 2019 - Giacomo Bozzoli torna in aula per il caso del fucile da caccia “dimenticato“ dal padre nella villa di famiglia a Soiano e recuperato dietro una specchiera della camera da letto durante le frenetiche perquisizioni dei carabinieri pochi giorni dopo la scomparsa dello zio Mario nella fonderia di Marcheno. Una vicenda, questa del fucile Flobert, che non c’entra con il giallo della fonderia, sebbene sia venuta a galla proprio nell’ambito delle indagini sull’imprenditore cinquantenne di cui non si sa più nulla dalla sera dell’8 ottobre 2015. Indagini chiuse dall’ex procuratore generale Pierluigi Maria Dell’Osso, che aveva avocato l’inchiesta, con un’ipotesi: Mario Bozzoli è stato ucciso in fabbrica dai nipoti, Giacomo, 34 anni, e Alex, 40, con cui era in forte contrasto perla gestione degli affari. Non c’è l’arma, non c’è il cadavere, ma ci sarebbero un «movente robusto» e una «mole di indizi concordanti», sufficienti per ritenerli indiziati di omicidio premeditato e distruzione di cadavere. I due per mettere a segno il delitto avrebbero contato sulle reticenze dei dipendenti di turno quella sera, Oscar Maggi e Aboagje Abu Akwasi, che invece rispondono di favoreggiamento.

Quanto a quel fucile Flobert, si diceva, era stato trovato dai carabinieri la notte tra il 10 e l’11 ottobre 2015 nell’abitazione di Giacomo, che aveva detto non saperne nulla. In primo grado il 34enne era stato creduto e assolto con formula piena. Il pm Francesco Carlo Milanesi però, che aveva chiesto una condanna a otto mesi, ha impugnato la sentenza ritenendo inverosimile che l’imputato convivesse con la moglie, il figlioletto e un’arma a sua insaputa. Conclusione: ieri la corte d’appello anziché confermare l’assoluzione ha derubricato la contestazione di detenzione illegale di arma in omessa comunicazione del trasferimento della stessa (di proprietà del padre) alla questura, accogliendo la richiesta subordinata dell’avvocato difensore Luigi Frattini. Una contravvenzione estinguibile con una oblazione monetaria. I giudici hanno ammesso l’istanza di transazione – 150 euro – dopodiché il reato sarà estinto. Così era finita in primo grado anche per il padre Adelio, contitolare con il fratello Mario della fonderia dei misteri, a sua volta a processo con il figlio per la storia del fucile. Un’arma da lui regolarmente denunciata, a suo dire vinta molto tempo prima a una lotteria e dimenticata insieme a decine di munizioni nei comodini della camera da letto della casa di Soiano – poi diventata dimora fissa di Giacomo e famiglia – . Il giudice Roberto Spanò aveva ammesso la derubricazione in contravvenzione e così Adelio, dopo un’oblazione, era uscito dal procedimento.

I suoi figli, intanto, rimangono con il fiato sospeso per la decisione pendente sul fascicolo chiuso per omicidio, e che potrebbe sfociare in una richiesta di rinvio a giudizio. O in archiviazione, come chiedono gli indagati: «Non abbiamo ucciso lo zio Mario, non avevamo nessun odio per lui – hanno ripetuto i nipoti al procuratore reggente Mario Martani, che ha ereditato l’inchiesta da Dell’Osso -. Al contrario, gli siamo molto grati per averci insegnato a combinare le leghe». Stando alla Procura invece, Giacomo era «ossessionato» dal proposito di eliminare lo zio. La sua Porsche Cayenne che esce e rientra dalla fabbrica quella sera poco dopo la chiamata di Mario alla moglie («Mi cambio e arrivo») è il presunto mezzo a bordo di cui il corpo esce. Anche Alex, 40 anni, ha smentito i dissidi in famiglia. «Il papà e lo zio avviavano attività e acquisti di pari passo». La nuova fabbrica a Bedizzole varata da Adelio e figli è un’azienda di commercio rottami che «non faceva concorrenza a Marcheno», come ipotizzato dagli inquirenti.