di Antonella Coppari
Lo scontro sull’emendamento ’Corte dei Conti’ è asimmetrico rispetto alla norma. Le opposizioni sono divise, Pd e M5s attaccano a testa bassa, il Terzo Polo appoggia la modifica. E soprattutto, alcuni importanti costituzionalisti danno ragione al governo che esclude il controllo concomitante, cioè il meccanismo di monitoraggio in itinere, dei magistrati contabili sull’utilizzo dei fondi del Pnrr. Tra questi c’è l’ex presidente della Consulta, Cesare Mirabelli.
Presidente, ci aiuti a fare chiarezza: quando è importante il controllo concomitante e quando invece è irrilevante?
"Il controllo concomitante consente di seguire il procedimento in corso d’opera. Questo, per un verso, può evitare sia qualche errore sia il peso di controlli successivi. Per un altro verso, invece, può deresponsabilizzare la stessa amministrazione che ha questa validazione preventiva di quello che fa. In realtà, l’amministrazione deve avere la possibilità di operare assumendosi la responsabilità e garantendo anche la discrezionalità delle scelte per le quali il controllore non può intervenire. In una prospettiva generale, sarebbe più opportuno se la Corte dei Conti svolgesse attività di controllo dell’azione amministrativa non tanto sui singoli atti ma sull’efficacia dell’attività nel suo complesso".
Vale a dire? Il controllo concomitante non è mai opportuno?
"Non la metterei così. È un controllo collaborativo, diciamo che non è necessario. Del resto, se fosse ’dovuto costituzionalmente’, la Corte dei Conti avrebbe gli strumenti per salvaguardare le sue attribuzioni, magari sollevando davanti alla Consulta un conflitto tra poteri dello Stato. Mi pare, però, che nessuno sostenga questo".
Quindi?
"Io penso che i magistrati contabili dovrebbero concentrarsi sui risultati, cioè sulla reale capacità dell’amministrazione di spendere bene questi fondi e di spenderli nei tempi previsti. Questo è l’essenziale: fare presto e bene, non tardi e male".
Vero è che la scelta di esercitare il controllo concomitante è stata motivata dai magistrati contabili anche con la necessità di accelerare le cose. Perché per il Pnrr ritiene che il controllo concomitante sarebbe stato controproducente?
"L’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza impone l’impiego delle risorse finanziarie europee in tempi strettissimi. Il controllo concomitante per essere utile richiede interlocuzioni continue tra amministrazione e Corte dei Conti, che possono ritardare la speditezza dell’attività amministrativa, in questo caso necessaria. Eliminare il controllo preventivo nell’attuazione del Pnrr risponde a una valutazione e a una scelta politica che può essere ragionevolmente giustificata. Rimane il controllo successivo".
Ma dal punto di vista formale non c’è una forzatura nel sottrarre alla possibilità del controllo concomitante un solo settore come prevede l’emendamento del governo?
"Nei limiti in cui è una scelta giustificata, non è una forzatura".
Passiamo al metodo: non c’è stata una forzatura di Palazzo Chigi nell’introdurre questa modifica proprio nell’ultimo giorno di votazioni in commissione, senza discuterne prima?
"Questo riguarda i rapporti tra governo e Parlamento. Da tempo, e non solo con questo esecutivo, il Parlamento vede di fatto ristretto l’ambito di effettivo esercizio delle proprie funzioni. Chi non ricorda i maxi-emendamenti sulle leggi di bilancio, presentati negli ultimi anni dal governo in Aula e vincolati con il voto di fiducia?".
Pochi giorni fa, però, il capo dello Stato ha convocato i presidenti delle Camere proprio per chiedere di non procedere con emendamenti ai decreti. Secondo lei, hanno agito o no correttamente inserendo questa norma nel decreto Pa?
"Non è ammissibile l’introduzione nelle leggi di conversione dei decreti legge, la cui adozione da parte dell’esecutivo è giustificata dalla necessità e urgenza, di emendamenti che hanno oggetto diverso da quello del decreto legge. La valutazione è anzitutto politica, ma se fossero emendamenti palesemente fuori dal perimetro del decreto legge, ne deriverebbe una illegittimità costituzionale".
Intanto, il governo ha posto la fiducia sul decreto Pa. Questo metodo, utilizzato anche dai predecessori dell’attuale premier, contribuisce di fatto ad esautorare il Parlamento del potere di legiferare.
"Il voto di fiducia dovrebbe segnalare che un determinato provvedimento è ritenuto dal governo essenziale per attuare il proprio programma. Se è usato come strumento per vincolare le forze politiche che compongono il governo, ne manifesta la debolezza. Se è uno strumento per eliminare emendamenti parlamentari e ridurre i tempi di approvazione delle leggi, restringe gli spazi di intervento del Parlamento, già ristretti dall’uso congiunto di decreti legge e voti di fiducia".
Come si può restituire al Parlamento una centralità che gli è stata sottratta da tempo?
"Modifiche ai regolamenti parlamentari, che rendessero certi e brevi i tempi di approvazione delle iniziative legislative del governo, potrebbero togliere un alibi per l’eccesso nell’uso sia dei decreti legge sia del voto di fiducia".