
Umberto Gaibotti
Certo, la droga ha giocato un ruolo importante in questo dramma, famigliare ma anche della disperazione. Federico Gaibotti, 30 anni, lottava contro la tossicodipendenza. E lottava contro quel senso di disagio da cui non riusciva a vedere una via d’uscita. Federico lo ha raccontato ieri mattina al gip durante l’interrogatorio in carcere, dove si trova da venerdì dopo aver ucciso con sei coltellate il padre Umberto Gaibotti, 64 anni nel giardino dell’abitazione di via Verdi, a Cavernago. L’autopsia è in programma questa mattina al Papa Giovanni XXIII. Il pm Laura Cocucci gli contesta l’omicidio volontario. E siccome c’è il vincolo del legame di parentela, non può chiedere di essere ammesso a rito alternativo dell’abbreviato. Assistito dall’avvocato Miriam Asperti, il 30enne, con lucidità ha ripercorso i momenti cruciali di quel maledetto venerdì. Ha fornito la sua versione dei fatti. Da quando è arrivato a casa del padre, in via Verdi. Ma andiamo con ordine. Quando Federico arriva a casa del padre (i genitori sono separati: la madre Cristina vive a Seriate con l’altro figlio Michele) non lo trova.
Incrocia una vicina a cui dice di essere venuto a prendere un Ipad, ma aggiunge anche di essere disperato. Vagheggia parole, parla di volerla fare finita. Frasi senza senso, dice si sentirsi una nullità. Pare che fosse alterato dall’alcol, quindi in uno stato di agitazione. A che serve l’Ipad? Secondo il suo racconto doveva servire per far fronte a un debito di circa 200 euro con quella ragazza della Bmw che aspettava fuori. Alla vista dei militari si è spaventata e si è sentita male. Ha avuto una crisi al punto da essere portata in ospedale. Nei suoi confronti sono in corso ulteriori accertamenti. Potrebbe scattare qualche provvedimento nei suoi confronti. Un passo indietro. A casa arriva il papà di Federico. Lo vede che è sconvolto. Discutono, e il motivo è sempre quello: la droga. I genitori gli avevano trovato anche una comunità, ma è durato una settimana ed è scappato. Con il trascorrere dei minuti i toni si alzano, sono le avvisaglie di quello che da li a pochi minuti trasformerà una lite in un omicidio. La vittima, per paura del figlio, scappa in giardino. Qui viene raggiunto dal 30enne che si scaglia contro di lui colpendolo al braccio, e più volte al torace: si conteranno sei fendenti. I carabinieri della Compagnia di Bergamo di coltelli ne hanno sequestrati tre (uno il giovane lo aveva acquistato in un negozio). La vicina, sentendo le urla, chiama i carabinieri che arrestano in flagranza l’autore del delitto. Il gip ha confermato la custodia in carcere, mentre il difensore aveva chiesto il collocamento in una comunità per un suo recupero. Da accertamenti è inoltre emerso a carico di Federico Gaibotti dei precedenti. Uno abbastanza recente: a luglio era stato processato per violazione del domicilio della madre. Il giudice lo aveva condannato a sei mesi con pena sospesa. I segnali del suo malessere.