Bollate (Milano) - Giacomo Bozzoli continua a dirsi innocente e soprattutto è convinto che la sua detenzione finirà con l’essere più breve di quanto preveda la condanna all’ergastolo, confermata dalla Corte di Cassazione soltanto venti giorni fa, il primo di luglio: carcere a vita per l’omicidio della zio Mario e la distruzione del cadavere, la sera dell’8 ottobre 2015, nella fonderia di famiglia, a Marcheno (Brescia).
Bozzoli (che proprio oggi compie 39 anni) confida di ottenere una revisione del processo e spera nella supertestimone (una rappresentante della società austriaca Montanwerke-Brixlegg, specializzata nella lavorazione di materiali ferrosi) e conta di poter usufruire, via via, dei relativi permessi per momentanee uscite dal carcere. In altre parole, spera che la sua detenzione possa avere un termine.
A riferire i pensieri e lo stato d’animo di Bozzoli è un consigliere lombardo del Partito democratico che ne ha parlato con il direttore del carcere di Bollate durante una visita istituzionale alla casa di reclusione nel primo hinterland milanese. Proprio il trasferimento dal carcere bresciano di Canton Mombello, vecchio e afflitto da gravi problemi di sovraffollamento, a quello di Bollate, ha giovato alle condizioni di Bozzoli. Un trasferimento avvenuto dopo una permanenza di appena sette ore a Canton Mombello, ma che, evidentemente, era stata sufficiente per far sprofondare il detenuto in uno stato di profondo disorientamento e di shock, tanto che la Procura di Brescia aveva deciso di rimandare l’interrogatorio. Superata questa fase, ora Bozzoli sarebbe più tranquillo, al punto da guardare all’autunno con fiduciose aspettative. Bozzoli sostiene inoltre di aver scritto delle lettere, non ancora recapitate (e forse nemmeno ancora inviate dalla persona a cui dice di averle affidate per la spedizione prima di partire per l’estero) al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla premier Giorgia Meloni e al ministro della giustizia Carlo Nordio: in quelle missive continuerebbe a sostenere la propria innocenza.
Per quello che riguarda la testimone austriaca, compariva nel ricorso della difesa, rigettato dalla Suprema Corte, in relazione ai 4.400 euro, in banconote emesse dalla Banca Centrale Austriaca, trovati nell’abitazione di Giuseppe Ghirardini. L’operaio, un veterano della fonderia Bozzoli, venne ritrovato a Case di Viso, sopra Ponte di Legno, avvelenato da una capsula di cianuro. Secondo l’accusa e le sentenze, il denaro sarebbe il compenso elargito da Giacomo a Ghirardini per il suo contributo la sera dell’eliminazione dello zio Mario. Quello di Ghirardini sarebbe stato un suicidio, provocato dalla disperazione e dal rimorso. Per i legali di Bozzoli, i contatti fra il loro assistito e l’azienda austriaca furono, al contrario, molto brevi e sporadici, non venne concluso alcun contratto con la Montanwerke e in generale con imprese austriache e Giacomo Bozzoli non ricevette denaro. Per questo, sarebbe stato importante acquisire, nei processi, la testimonianza della rappresentante della Montanwerke-Brixlegg.
Secondo la motivazione della sentenza di condanna, alla base del delitto ci sarebbero stati i profondi dissidi fra Mario Bozzoli e il nipote Giacomo, definito "un violento e un prevaricatore". I magistrati sottolineano non solo che "odiava lo zio e voleva ucciderlo", ma anche che "pianificava la sua morte da anni nei minimi dettagli".