
Mauro Genocchio porta per mano una piccola allieva all’inizio del suo percorso nel karate
Rovato (Brescia), 11 gennaio 2019 - Avete presente quando si dice: lo sport è inclusione? Be’, questa storia ne traccia il paradigma. Alla scuola di karate Genocchio, celebre società pluripremiata da quasi 40 anni, i maestri non sono solo coloro che spiegano come fare il “kata”, ovvero i movimenti di combattimento in sequenza. No, sono anche insegnanti con quella i maiuscola che non sempre si è meritori di avere come gallone. Anche nello sport.
Mauro Genocchio è uno dei figlii del fondatore Franco e direttore tecnico della scuola. Nella sua vita agonistica come esponente delle Fiamme Oro è stato un atleta di livello internazionale. Dal 1997 fa il maestro a tempo pieno. Come due giorni fa quando stava seguendo una classe urlante. A un certo punto ha notato un suo alunno in difficoltà: non riusciva a realizzare l’esercizio richiesto.
La scarsa coordinazione del ragazzo era diventata motivo di risa per un capannello di coetanei. Così Mauro ha interrotto l’allenamento e ha obbligato tutti con sguardo severo a ripartire dalle mosse base dell’esercizio, quelle che il ragazzo preso di mira eseguiva meglio, affinché nessuno fosse escluso. Una grande lezione di vita. «Per me è cosa normale – spiega – Lo faccio sempre. Alleno anche cinque ragazzi con gravi problemi con un unico obiettivo: farli sentire parte di un gruppo. L’emarginazione, il bullismo sono inaccettabili e noi maestri dobbiamo essere l’esempio, il faro. Ci sono alcuni neuropsichiatri della zona che spingono i genitori a mandare i figli con problemi da noi. L’impegno così diventa più duro, certo. C’è il rischio di compromettere un percorso. Ma non importa. Lo sport fa parte della vita e qui da noi nessuno deve e può rimanere escluso».