
Operazione della Guardia di Finanza di Brescia
Brescia – "Siamo davanti a imprenditori che non sono più vittime della ‘ndrangheta, ma alleati, che la cercano per frodare insieme il fisco": così ha spiegato il procuratore di Brescia Francesco Prete commentando l'inchiesta, iniziata nel 2019, per presunte infiltrazione della 'ndrangheta a Brescia che ha portato oggi a dodici arresti per una frode fiscale da 365 milioni di euro. L’operazione ha sgominato sgominato un sodalizio criminale formato da esponenti della cosca calabrese radicata tra i Comuni di Melia di Scilla e San Roberto.
Secondo la Procura, sotto la direzione un soggetto già condannato per associazione di stampo mafioso dal tribunale di Reggio Calabria, la 'ndrangheta aveva costituito 70 società "cartiere", con sede a Brescia (ma anche in Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Svizzera e Croazia), che permettevano a società reali di imprenditori locali di annotare fatture per operazioni inesistenti per frodare il fisco o ottenere finanziamenti pubblici.
Le perquisizioni si sono svolte in varie località italiane: Reggio Emilia, Torino, Verona, Modena, Cremona, Milano, Monza-Brianza, Mantova, Varese, Catania e Reggio Calabria. Un flusso di denaro illecito di 365 milioni che ha prodotto per i clan circa 8 milioni e mezzo di utili. Questa infatti la somma sequestrata dalla Gdf alle società e ai soggetti coinvolti, circa 70 in mezza Italia.
Non è tutto. Le indagini hanno ricostruito anche il quadro di una guerra di 'ndrangheta a "bassa intensità", con cui l'associazione oggi sgominata ha scalzato un altro gruppo che operava dal 2017 nel distretto industriale del nord est. Tra le offensive attuate per conquistare l'egemonia sul territorio, ad esempio, una rapina simulata operata nei confronti di un corriere del gruppo sconfitto, che aveva ritirato denaro contante per circa 600.000 euro, attribuita a soggetti cinesi dimoranti nella chinatown milanese. Un'azione in cui l'organizzazione si era avvalsa dell'aiuto di alcune "talpe" nelle fila del nemico. Erano poi state rubate le credenziali dei conti correnti accesi in Bulgaria, dove i precedenti gestori del traffico di fatture false depositavano gli introiti illegali. Non sarebbero però mancate anche le azioni violente e le intimidazioni con cui, ad armi spianate, si ingiungeva ai membri della vecchia consorteria di "cambiare bandiera".