Brescia, disastro ambientale alla Caffaro: il Mise anti-veleni ferma il processo

D’intesa con le parti rinviata per la seconda volta, al giugno del prossimo anno, l’udienza preliminare. Obiettivo? Ddre il tempo ai titolari-imputati di completare la sistemazione della barriera idraulica

Caffaro dal 2002 è "Sito di interesse nazionale in attesa di bonifica"

Caffaro dal 2002 è "Sito di interesse nazionale in attesa di bonifica"

Brescia - Secondo rinvio – stavolta al 13 giugno 2023 – dell’udienza preliminare per il disastro ambientale Caffaro, l’azienda che prima di finire nel mirino della Procura produceva pastiglie di cloro – e ancora prima, fino agli anni ‘80, i cancerogeni Pcb – e che ora è in liquidazione. Il giudice, d’intesa con le parti, ha convocato tutti la prossima estate. Motivo? Dare tempo ai titolari imputati di completare i lavori di sistemazione del Mise, la barriera idraulica anti-veleni il cui mancato funzionamento a regime per l’accusa ha peggiorato la diffusione degli inquinanti, estesi in un raggio di oltre 22 chilometri (Caffaro dal 2002 è Sito di interesse nazionale in attesa di bonifica).

L’intervento, integralmente a carico di Caffaro Brescia srl, è servito a potenziare i tre pozzi della barriera già esistenti e a rimetterli in sesto – un’operazione che secondo la Procura gli imputati avrebbero dovuto eseguire ben prima, quando la fabbrica era ancora operativa – nonchè a costruirne due ex novo in una zona più a Sud, dove l’emungimento delle acque risulterà più incisivo per creare l’effetto diga. Frutto di un accordo pilota tra inquirenti, ministero, azienda e Arpa, che ha permesso il dissequestro di un lotto di 3 milioni dagli 8 sequestrati in fase d’indagine, i lavori dovrebbero concludersi tra febbraio e marzo 2023. E il passaggio potrebbe preludere a una richiesta di rito abbreviato, se non di patteggiamento.

Il procuratore aggiunto Silvio Bonfigli e il pm Donato Greco hanno chiesto il processo per i dirigenti di Caffaro Brescia, la società che fino all’autunno 2019, in concomitanza con la sospensione dell’autorizzazione ambientale dopo i carotaggi dell’Arpa, ha gestito appunto la fabbrica: Antonio Todisco, Alessandro Quadrelli, Alessandro Francesconi e Vitantonio Balacco, nei guai a vario titolo per disastro, omesso smaltimento di rifiuti pericolosi e (non Balacco) inquinamento da cromo esavalente e clorato. Ma anche per i vertici delle precedenti gestioni: Marco Cappelletto, Alfiero Marinelli, manager della ex Snia, presunti responsabili di inquinamento da mercurio nel sottosuolo e in falda in corrispondenza del reparto clorosoda e di omesso smaltimento di scorie. E poi per tre manager di Csa (società incaricata di demolizioni e smantellamenti di impianti dismessi) e l’ex commissario straordinario Roberto Moreni, nei guai per non essersi occupato a dovere dello smantellamento dei reparti contaminati.