GABRIELE MORONI e BEATRICE RASPA
Cronaca

Brescia, il grido di Erra dal carcere: non ho toccato Desirée

Il condannato scrive al Giorno: "Pedofilia, forse il papà ha ragione ma questo mondo mi è estraneo"

Giovanni Erra

Leno (Brescia), 1 marzo 2019 - «Non ero in quella cascina mentre Desirée veniva uccisa. Ero in casa, con mia moglie e mio figlio. Dormivo. Ho raccontato di esserci stato anch’io con quei ragazzi, ma l’ho fatto per mancanza di lucidità e fragilità, perché in quel periodo ero preda di droga e alcol, perché avevo paura che qualcuno facesse del male alla mia famiglia».

Uno scritto dal carcere di Bollate. Giovanni Erra scrive in esclusiva a “Il Giorno” per proclamare la sua verità sull’omicidio di Desirée Piovanelli. All’epoca, Erra era un operaio di 36 anni, sposato e padre di un bambino di otto. L’unico adulto, fra due sedicenni e un quattordicenne, di quello che fu definito il “branco” di Leno, sconta una condanna definitiva a 30 anni per la morte di Desirée, 15 anni da compiere, gioiosamente bella, primo anno di liceo scientifico: era il 28 settembre del 2002. Erra ha dato incarico ai suoi legali Antonio Cozza e Nicodemo Gentile di raccogliere elementi che possano portare a una richiesta di revisione. Per Giovanni esiste «un’unica risposta». «Sono innocente mi sono sempre proclamato non colpevole. In quella cascina nel momento in cui veniva uccisa la povera Desirée io non c’ero! Mi trovavo a casa mia! Insieme a mio figlio e mia moglie e dormivo sul letto! È vero ho raccontato di essere lì con quei ragazzi, ma l’ho fatto solo perché non ero lucido. Ero fragile. Le persone che mi conoscono sanno come reagisco nei momenti di difficoltà. In quel periodo della mia vita che vorrei cancellare ero in balia della droga e dell’alcol e in più avevo paura di tutto e soprattutto avevo paura che delle persone potessero fare del male alla mia famiglia. Non so cosa sia successo in quella cascina ma ho sempre pensato che a uccidere Desirée fosse stato (qui Erra fa il cognome di uno dei ragazzi di Leno, quello che secondo le sentenze colpì Desirée con un coltello Kaimano acquistato al supermercato - ndr). Io sono stato il capro espiatorio perché adulto e fragile! Non sono un pedofilo e non lo sono mai stato. Non ho mai avuto contatti con persone del genere! Ciò che dice il papà di Desirée potrebbe anche essere vero! Non so come aiutarlo. Se solo sapessi qualcosa l’avrei fatto subito perché anche io sono un padre di famiglia e come loro sono una vittima di quanto successo». «A volte immagino il dolore che hanno provato i familiari di Desirée e che ancora oggi provano e non vorrei essere nei loro panni – aggiunge –. Ma non vorrei trovarmi qua perché nei miei confronti è stata fatta una grande ingiustizia».

Attirata nella cadente cascina Ermengarda, a pochi passi dalla sua abitazione, con il pretesto di mostrare una cucciolata di gattini. Ferita, trucidata a coltellate per avere lottato, respinto con tutte le sue forze e con disperazione un tentativo di violenza di gruppo. È la verità processuale per la fine di Desirée Piovanelli. Il 1° luglio del 2004 la Cassazione ha reso definitive le condanne dei tre minori pronunciate l’anno prima, con lievi sconti, dalla Corte d’Appello per i minori di Brescia: 18 anni a Nicola B., 15 anni e 4 mesi a Nicola V., 10 anni a Mattia F. Ora sono tutti liberi, hanno superato la trentina, solo uno di loro è rimasto a Leno. Un epilogo che non ha mai persuaso Maurizio Piovanelli, il padre di Desy. Alla fine di luglio dello scorso anno ha depositato un esposto in Procura a Brescia. Sei dense pagine in cui ha allineato testimonianze, audio, nomi, circostanze, sospetti. Un quadro che porta in una direzione: pedofilia organizzata. Festini a luci rosse con droga e minorenni. Potenti personaggi della zona a caccia di giovanissime. Per il delitto un mandante rimasto impunito.