Crisi in Medio Oriente. Nel canale di Suez viaggia un export da 13 miliardi di euro

Lombardia prima per trasporto via nave di merci verso i mercati dell’Est. L’allarme di Confartigianato: "I più penalizzati, si rischia la recessione".

Crisi in Medio Oriente. Nel canale di Suez viaggia un export da 13 miliardi di euro

Crisi in Medio Oriente. Nel canale di Suez viaggia un export da 13 miliardi di euro

Tredici miliardi. Il valore delle merci che dalla Lombardia passano via mare attraverso il canale di Suez e il mar Rosso è il più alto d’Italia (55 miliardi). "Siamo i più penalizzati dall’allargamento della crisi in Medio Oriente", dichiara Eugenio Massetti, presidente di Confartigianato Lombardia, l’associazione più rappresentativa della media e piccola impresa e dell’artigianato per numero di attività (95mila) e settori industriali (33). Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio MPI Confartigianato Lombardia su dati Istat, la regione è la più esposta alle ripercussioni provocate dalle tensioni internazionali (gli attacchi dei miliziani sciiti Houthi, alleati dell’Iran contro gli Usa): 12,9 miliardi di beni diretti nei mercati orientali (Cina, India, Arabia Saudita, Corea e Giappone su tutti) sono trasportati tramite navi che, per questioni di sicurezza, sono chiamate a rotte alternative. Più lunghe e costose. Milano è la provincia che per valore assoluto esporta di più: 6,7 miliardi. Ma in rapporto al valore aggiunto - l’incidenza sul totale della produzione - sono Monza e Varese le più esposte, con il 4,9 e il 4,8%. A seguire si trovano Lecco (4,2%), Bergamo (3,8%) e Milano (3,7%). Per Brescia e Mantova l’export che transita via mare verso Oriente pesa il 2,6%, per Lodi e Como il 2,3 e il 2,2%. La meno esposta è Sondrio: la Valtellina vende sui mercati orientali beni e servizi solo per 31 milioni, lo 0,6% sul valore aggiunto della produzione locale. Sotto la soglia del 2% si trovano anche Cremona (1,9) e Pavia (1,5).

"L’escalation della crisi in Medio Oriente – avverte il presidente di Confartigianato Lombardia – penalizza il sistema del made in Italy e l’approvvigionamento di prodotti essenziali per la trasformazione della nostra manifattura, aggravando la frenata del commercio internazionale. Gli effetti, sommati alla stretta monetaria e alla riattivazione delle regole europee di bilancio, potrebbero avere conseguenze sulla crescita, riducendo la fiducia e la propensione a investire delle imprese e frenando il ciclo espansivo dell’occupazione che nell’ultimo anno ha registrato un aumento di oltre mezzo milione (+551mila) di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato. Il rischio è che l’approccio ‘attendista’ delle imprese, che ancora sorregge la seppur flebile fiducia, possa degenerare in recessione".