Covid, l’interrogatorio di Conte e Speranza "Ecco perché non fu istituita la zona rossa"

di Beatrice Raspa

Sono arrivati al palagiustizia su un’auto dai vetri oscurati, entrando da un ingresso secondario per evitare i cronisti e un gruppetto di No vax. Ieri era il giorno degli interrogatori dell’ex premier Giuseppe Conte e dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza, tra gli indagati nell’inchiesta della procura di Bergamo sulla presunta mala gestione della prima ondata di Covid-19 in Val Seriana. Il leader M5S e il deputato di Articolo 1, che rispondono di omicidio colposo ed epidemia, sono comparsi davanti al tribunale dei Ministri per dare la loro versione.

Stando all’accusa Conte, sebbene fosse a conoscenza della moltiplicazione incontrollata dei contagi, non avrebbe istituito a tempo debito la zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro. Speranza non avrebbe applicato il piano pandemico nazionale, fermo al 2006. Entrambi hanno difeso il proprio operato e rigettato le accuse. Il primo a parlare, per un’oretta, è stato Conte. "Ha chiarito tutto – ha riportato il legale, annunciando il deposito di una memoria, così come già fatto da Speranza –. Ha ricostruito cosa accadde dal 26 febbraio al 6 marzo". Il leader M5S si sarebbe anche soffermato sul Cts del 2 marzo. Agli atti vi sarebbe un appunto del coordinatore Agostino Miozzo su una presunta titubanza all’idea della zona rossa per i pesanti costi politici, sociali ed economici che avrebbe comportato. L’interrogatorio dell’ex ministro, dichiarazioni spontanee, è durato mezz’ora. "La sua condotta è stata rispettosa delle norme – dice l’avvocato Guido Calvi –. L’intera comunità scientifica aveva dichiarato il piano pandemico inefficace per combattere il Covid. L’Italia fu tra i primi Stati a muoversi, merito anche del ministro". Poi una stilettata al virologo Crisanti, consulente della procura di Bergamo: "Ha indotto i pm a sbagliare, facendo intendere che la raccomandazione dell’Oms del 5 gennaio 2020 fosse vincolante".