
Un medico
Brescia, 21 giugno 2019 - Per i giudici d’appello quel medico di base «con sfrontatezza ha violato sistematicamente le regole deontologiche e morali», dunque non meritava benefici né attenuanti. E pure la Cassazione ha usato la mano pesante, confermando la condanna a un anno e sei mesi e i 25mila euro di provvisionale statuiti per Ats, che tramite l’avvocato Alessandro Asaro si era costituita parte civile.
Si è chiusa la vicenda che ha coinvolto un professionista bresciano con ambulatorio in via Cremona, a giudizio per esercizio abusivo della professione, falso ideologico e rifiuto di atti d’ufficio. Condannato in primo grado a un anno e dieci mesi (due mesi in più di quanto chiesto dalla procura) il 65enne aveva ottenuto in appello un lieve sconto solo grazie alla prescrizione dei reati compiuti prima del marzo 2011. Era accusato di aver firmato tra il 2007 e il 2012 almeno una cinquantina di ricette in bianco e di aver lasciato più volte lo studio nelle mani di un finanziere in pensione (all’epoca ottantenne) senza laurea in Medicina ma che indossava il camice bianco. Mentre il finto medico uscì presto di scena patteggiando 8 mesi, il medico vero ha portato avanti la sua battaglia fino in Cassazione. Gli avvocati Marino Colosio e Antonio Ordile, che lo assistono, hanno sottoposto ai giudici di terzo grado tredici motivi di ricorso. Non ha falsificato certificati, prescritto farmaci sbagliati o effettuato diagnosi non corrette, era la tesi difensiva. Il “sostituto” era solo un infermiere che espletava funzioni di semplice segretario e se fece visite domiciliari fu solo perché il titolare era impossibilitato per cause di forza maggiore.
L'imputato ha sempre sostenuto di avere agito solo per velocizzare la burocrazia che gravava sui suoi 1.700 pazienti. Ma dalla corte, presidente Anna Petruzzellis, è arrivata una sonora bocciatura: il ricorso è «prolisso e inammissibile», basato su «motivi manifestamente infondati, generici o improponibili», e in più passaggi sollecita la Cassazione «sovrapporre e sostituire le proprie valutazioni delle risultanze processali a quelle dei giudici». Fuori dalla sua competenza, insomma.