“Cascina Botà“ è ora il rifugio di bimbi e donne ucraini fuggiti

La presidente di Telefono. Azzurro e Rosa, Giannetti:. "L’accoglienza è il motto"

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L’inserimento a scuola è stato il primo passo per restituire ai bimbi un po’ di quella normalità che è stata strappata loro dalle bombe. La calda accoglienza dei volontari dell’associazione Telefono Azzurro Rosa, a partire dall’infaticabile presidente Ivana Giannetti, ha fatto il resto. Sono accolte a Cascina Botà 5 donne ucraine con i loro 8 figli (dai 4 ai 16 anni), approdate a Brescia grazie a Olga e Alessandro.

"Era la cosa giusta da fare – spiega Giannetti – abbiamo una lunga tradizione di accoglienza. Anche nella sede precedente, in piena emergenza Albania, avevamo accolto delle persone pur avendo solo una stanza". A fine marzo, le prime ad arrivare erano state Tatiana e Liudmyla. Scappate da Kyev, si erano rifugate nella casa a Bucha: speravano di essere più al sicuro, invece sono state costrette a restare rinchiuse per un mese, fino a quando l’esercito russo non se ne è andato, lasciando dietro di sé la scia di orrori che poi ha sconvolto il mondo. Da qualche giorno, la “famiglia“ di Cascina Botà si è ampliata. Anche Julya e Darya arrivano da Kiev. Julya lavora in una grande compagnia telefonica, Darya, ex giornalista, ha una sua agenzia di pubbliche relazioni. Entrambe sono riuscite a mantenere il loro lavoro a distanza.

"La situazione è ancora preoccupante. A Kiev hanno ripreso a suonare le sirene dell’allarme, continuamente", racconta Julia. "Siamo grati all’Italia - ringrazia Darya – e siamo disponibili a ricambiare l’accoglienza, ad esempio aiutando a fare dei lavori qui in associazione". Il ricordo dei bombardamenti è ancora indelebile. "Ho svegliato i miei figli e sono scappata – racconta Darya -. Per un certo periodo siamo stati a Motyzhyn, vicino a Kiev, con i miei genitori. Sapevamo cosa stava accadendo a Bucha, Irpin, così quando abbiamo saputo che l’esercito sarebbe arrivato anche a Motyzhyn, abbiamo preso i bambini e, per la seconda volta, siamo andati via. Quello che è accaduto dopo è stato orribile. La sindaco di Motyzhyn è stata uccisa: il suo corpo, del marito e del figlio sono stati trovati in una fossa comune. Tante persone sono sparite. C’erano soldati nel bosco. Le persone avevano paura a uscire di casa, perché sparavano anche sui bambini". "Ci odiano – aggiunge Julia – non è una guerra, è un genocidio". Ora si guarda anche con un po’ di timore al 9 maggio, giornata in cui la Federazione Russa celebra la vittoria sul nazismo, che Putin ha caricato di enfasi. "Cosa accadrà? Chi può dirlo. Quel che è certo è che noi non siamo nazisti. I nostri nonni sono morti per combattere contro il nazismo. Ora ogni ucraino vuole essere indipendente dalla Russia, non solo a livello di confini, ma anche nella mentalità".

Federica Pacella