
Lavori di bonifica alla Caffaro di Brescia
Brescia – La certezza è una: la barriera idraulica non può essere dismessa. L’incognita è chi lo farà fino a che non sarà effettuata la bonifica, operazione tutt’altro che semplice e rapida. Siamo a Brescia, nell’area industriale Caffaro, cuore dell’omonimo sito di interesse nazionale.
Qui, l’azienda chimica Caffaro, dal 1938 al 1984 ha prodotto i cancerogeni Pcb, finiti nel terreno. Nell’area dello stabilimento, Arpa ha trovato Pcb, Pcdd/f, mercurio, arsenico, solventi a oltre 40 metri di profondità; inoltre, tramite le rogge e la movimentazione di rifiuti i veleni della Caffaro si sono spinti anche oltre il sito, inglobato nel centro di Brescia nel corso dell’evoluzione urbanistica della città. L’evidenza della contaminazione risale al 2001, ma al progetto di bonifica si è arrivati solo nel 2019, dopo la gara europea bandita dall’allora commissario straordinario Roberto Moreni.
I lavori non sono ancora partiti, però, perché nel frattempo l’aumento dei costi ha scoraggiato le imprese, visto che i 70 milioni messi sul tavolo dal Ministero non sono stati ritenuti più sufficienti a coprire una bonifica che si preannuncia complessa e innovativa (non sarà un ‘semplice’ spostamento di terra inquinata, ma si applicheranno tecnologie diverse per ripulire il suolo). Valutata non accettabile l’unica offerta pervenuta, il nuovo commissario Mario Nova sta ora lavorando al nuovo bando e al reperimento di nuove risorse.
Nel frattempo, è tornata alla ribalta la questione della gestione della barriera idraulica. Il sistema di pozzi, eredità del ciclo produttivo della Caffaro srl in liquidazione, è stato di fatto riadattato per emungere acqua (13 milioni di m3/anno) per mantenere bassa la falda già inquinata da cromo VI di galvaniche di Brescia e Val Trompia, evitando che, risalendo, incroci il terreno impregnato di veleni. Non un sistema perfetto, tanto che Arpa ha accertato che dalla Caffaro esce ancora Pcb, immesso nella roggia Fiumicella; tuttavia, disattivarlo sarebbe peggio.
Dal 2011 , la gestione dell’emungimento è seguita da Caffaro Brescia (in liquidazione, appartenente al Gruppo Todisco), in affitto nel sito di via Milano dove ha prodotto clorito di sodio per il trattamento e la depurazione delle acque potabili fino a due anni fa. Finita nel mirino della Procura di Brescia (i vertici sono stati indagati per disastro ambientale), l’azienda sta ora lavorando per una barriera idraulica più efficiente, nell’ambito di un accordo con Ministero e Procura. Il tema, però, è la gestione dell’esistente: troppo caro proseguire, secondo Caffaro Brescia, che ha visto lievitare i costi della bolletta da 50-60 a 250 mila euro al mese lo scorso anno e che ritiene di non esser più obbligata visto che il contratto d’affitto è scaduto a marzo.
Nei giorni scorsi, l’azienda ha annunciato di voler avviare il licenziamento dei 9 lavoratori rimasti. In realtà all’azienda è stata accordata la disponibilità dell’area, tanto che l’annuncio di licenziamenti è sembrata più una provocazione degli avvocati. Ministero e commissario stanno comunque lavorando anche a un piano B, che possa includere i lavoratori di Caffaro Brescia nella gestione della barriera, nel caso in cui l’azienda dovesse davvero dismettere l’impegno assunto. Una corsa contro il tempo, quindi, che potrebbe trovare risposta nel tavolo convocato dalla Regione.