Allarme sulle Alpi, scompare il permafrost e le montagne si sbriciolano: “Il pericolo sta aumentando”

Lo zero termico sale oltre i 3.500 metri: sabato l’ultimo cedimento fra Italia e Svizzera. L’allarme del ricercatore del Politecnico. “In alcuni rifugi non si aprono più le porte”

La gigantesca frana/valanga sul Piz Scerscen (foto Club alpino svizzero)

La gigantesca frana/valanga sul Piz Scerscen (foto Club alpino svizzero)

Le Alpi si sgretolano sotto i colpi del clima che cambia. L’enorme valanga di roccia e neve che si è staccata sabato dal versante settentrionale del Piz Scerscen 3.971, montagna del massiccio del Bernina, a cavallo fra Italia e Svizzera, è solo l’ultimo esempio di ciò che rischia di accadere sempre più frequentemente . Una frana di un milione di metri cubi ha percorso cinque chilometri sul versante svizzero, fortunatamente senza coinvolgere nessuno. Un evento talmente imponente da essere rilevato anche dagli strumenti sismici.

Nel gennaio del 2023 era avvenuto un altro crollo imponente e agli alpinisti era stato sconsigliato di frequentare quella zona. Con gli inverni sempre più caldi le montagne dell’Arco alpino si stanno surriscaldando non solo all’esterno, dove perdono la loro coperta di ghiaccio, ma soprattutto all’interno (un fenomeno difficile da rilevare e misurare). È il permafrost, il ghiaccio sotterraneo, la colla che tiene insieme milioni di metri cubi di roccia, che con l’innalzamento delle temperature scappa sempre più in alto lasciando montagne instabili. La scienza si sta occupando da tempo del fenomeno anche in relazione a quello che sta accadendo ad alcune strutture alpine che poggiano su basi sempre più instabili.

“Eventi di questo tipo stanno aumentando in maniera preoccupante. I crolli e le rotture si stanno verificando in una fascia di roccia che è quella che corrisponde al ritiro del permafrost, che con lo zero termico che si innalza sempre di più, finisce per “scappare“ verso l’alto. Questo succede in una fascia compresa fra i 3mila e i 3.500 metri – conferma Francesco Calvetti, ingegnere, professore del Politecnico di Lecco, che si occupa, insieme ai suoi studenti, dello studio sulla stabilità del rifugio Margherita sul Monte Rosa. Il più alto d’Europa –. Stiamo studiando l’ammasso roccioso su cui poggia il rifugio Margherita. Stiamo effettuando nuovi sondaggi, un rilievo geomeccanico che ha lo scopo di valutare lo stato del ghiaccio all’interno dei giunti. Metteremo dei termometri in profondità. Misureremo eventuali spostamenti e potremo valutare la propagazione di fratture nell’ammasso".

Ne sanno qualcosa anche i gestori di altri rifugi in quota che rischiano di “scivolare”, alle prese con gravi problemi strutturali, come il Casati in Valtellina (a 3.269 metri, che si affaccia sul ghiacciaio dell’Ortles Cevedale fra Lombardia e Trentino che deve essere spostato.

“Ci sono rifugisti che hanno segnalato difficoltà addirittura ad aprire le porte". Qualcosa di molto simile a quello che è successo sabato allo Scerscen era accaduto il 23 agosto del 2017, quando una parte del versante Nord del Pizzo Cengalo, 3.396 metri, spartiacque fra Italia e Svizzera, è collassata riversando sulla Val Bondasca un inferno di pietre e terra che inghiottì otto scalatori. Anche in quell’occasione la montagna aveva dato dei segnali con una serie di frane che avevano scosso la Val Bondasca.

Più recentemente, all’inizio di agosto del 2022, con lo zero termico a 5mila metri, era stato il ghiacciaio dell’Adamello ha preoccupare gli abitanti della valli che lo circondano. Pezzi di ghiaccio misti a fango si erano riversati nella Val Gallinera di Sonico. Anche quello era il sintomo del cedimento del permafrost in quota. Il caldo in alta quota è il responsabile anche del crollo del ghiacciaio della Marmolada del 3 luglio 2022, quando 64mila tonnellate di ghiaccio uccisero 11 alpinisti.