Agguato da Frank, il fratello: «Né minacce dai pusher, né pizzo. Me ne avrebbe parlato»

Il fratello esclude anche i debiti: 150mila euro? Fantasie di Gabriele Moroni

Giovanna Ferrari e Francesco Seramondi, uccisi nella loro pizzeria

Giovanna Ferrari e Francesco Seramondi, uccisi nella loro pizzeria

Nuvolento, 14 agosto 2015 - Giovanni, più ciarliero, una vita passata accanto a Francesco. Claudio, più riservato, è l’amministrarore unico della società «Da Frank». Sono i fratelli di Francesco «Frank» Seramondi (ce n’è un quarto, Andrea). Nella casa di Nuvolento si interrogano sulla mattanza di martedì che ha stroncato nel sangue la grande avventura di Frank e i suoi fratelli.

«SIAMO sempre state - dice Giovanni - delle persone oneste. Mai avuto problemi. Lo posso dire io che sono stato con Frank per quarant’anni. Non ho parole. Non riesco a capacitarmi».

Come avete iniziato?

«Prima c’era il forno a Urago. Veniva tanta gente per la pizza. Vicino c’era uno che faceva i krapfen e voleva smettere. Abbiamo pensato di subentrare».

Come siete arrivati alla Mandolossa?

«L’abbiamo scoperta nell’82 o ’83. Abbiamo aperto “Dolce&Salato. È andata molto bene. Poi è venuto il “Dolce&salato“ a Sant’Eufemia. È stato allora che abbiamo avuto dei problemi con il commercialista e siamo stati costretti a vendere. Siamo rimasti fermi per cinque mesi. All’inizio del 2005 abbiamo aperto a San Polo come “Da Frank”. I primi tempi non si fermava nessuno. Ma la roba era buona, il nome conosciuto. Il passaparola ha funzionato. Dopo un paio d’anni siamo tornati alla Mandolossa».

E lì sono incominciate le difficoltà.

«Siamo arrivati a un punto che i ragazzi non riuscivano a scendere dalle auto perché arrivavano subito gli spacciatori. Abiamo fatto le nostre denunce. Abbiamo chiamato la polizia tante volte. Sa cosa ci hanno detto un sera? “Perché non cambiate posto?”. Figuriamoci, andare via dopo tutto quello che era stato investito».

Dal mondo dello spaccio vi sono arrivate minacce?

«Nessuna, da nessuna parte. Eravamo ben visti da tutti. Si presentava uno che non aveva i soldi e gli davamo la pizza gratis. E a qualcuno abbiamo anche fatto un prestito».

“Pizzo”, racket?

«Niente. Mio fratello me l’avrebbe detto».

È uscita la notizia che la società ha 150mila euro di debiti.

«Tutte fantasie. Qualche debitino. Cose da poco».

Il primo luglio un vostro dipendente albanese è stato ferito con tre colpi di pistola.

«È con noi da diciotto anni. Quando è arrivato dormiva in macchina. Sul lavoro niente da dire. Cosa facesse fuori, nel privato, non lo so. Mio fratello non sapeva spiegarsi l’episodio».

gabriele.moroni@ilgiorno.net