Nembro, il sindaco: "Niente zona rossa, noi al macello. Governo e Regione devono pagare"

Claudio Cancelli: "Non si sono assunti le responsabilità. Il conflitto di segno politico ha inciso nel flop"

L’intervento di medici e paramedici in un’abitazione di Nembro (Ansa)

L’intervento di medici e paramedici in un’abitazione di Nembro (Ansa)

Nembro (Bergamo), 12 giugno 2020 - Un rapido bisillabo: Nembro. Un nome breve divenuto familiare, con quelli di Alzano Lombardo e Albino, nei giorni più cupi della pandemia. Una sorta di icona del martirio imposto dal Covid-19 alla bergamasca Valseriana: oggi sono circa 11.500 i residenti, 180 quelli portati via dal virus. Claudio Cancelli, un passato di insegnante di matematica e fisica nei licei, dirigente scolastico, è sindaco di Nembro dal 2012 con una lista civica di centrodestra.

Sindaco Cancelli, una ecatombe. Colpa della mancata istituzione della zona rossa? «Come sindaci siamo stati poco coinvolti dagli organi superiori. Nessuno ci ha chiesto come la pensassimo sul tema, né la Regione, né la prefettura. Il livello decisionale non era nostro, ma regionale o statale. Passavano i giorni, soprattutto i primi di marzo, e ci arrivavano notizie di camionette, di concentramenti di carabinieri e polizia, truppe spostate da altre province. Sapevamo delle forze raccolte in un albergo di Osio Sotto più dai social e dalle foto postate. Nessuna informazione ufficiale. Eravamo consapevoli che se la zona rossa fosse stata attivata, saremmo stati coinvolti».

Cos’è mancato? «Dicevo allora e a maggior ragione lo ripeto, anche se adesso è molto facile, che la zona rossa sarebbe stata più che opportuna. Il mio ragionamento era: ‘Signori, la valutazione è tecnico-sanitaria. Compete all’epidemiologo, non al politico. Al politico spetta di decidere’. Questo mi aspettavo, questo si aspettavano i cittadini. Doveva esserci una comune assunzione di responsabilità da parte dei due enti, Stato e Regione, in base alla tutela della salute di tutti. Credo che oggi si debba capire chi ha sbagliato. Da un lato. Dall’altro bisogna evitare che in futuro si verifichi una conflittualità di segno politico che ha inciso».

Cos’altro è mancato? «La medicina di base non è riuscita a fare da filtro. Medici ammalati. Malati curati a casa anche via WhatsApp e molti ce li siamo ritrovati negli ospedali in gravi condizioni. La gestione delle Rsa. La parte logistica per la fornitura dei dispositivi di protezione. La gestione dei protocolli negli ospedali. Quello di Alzano è ormai tristemente famoso».

Come ha vissuto questi mesi? «Mi sono ammalato subito: il 27 febbraio mi sono accorto di essere stato contagiato, fortunatamente in misura non grave. Dal punto di vista umano li ho vissuti in maniera molto straziante. Alla sera si faceva l’elenco dei morti e ognuno era un nome conosciuto. Il Comune è stato il punto di riferimento della cittadinanza, tutti i giorni ci arrivavano 2.200 telefonate. Ogni sera scrivevo un comunicato per informare della situazione. I volontari della Protezione civile provvedevano alla distribuzione dei pasti e al trasporto dei dializzati positivi che non erano in grado di spostarsi».

C’è stato un momento di scoraggiamento? «Uno lo ricorderò sempre. La sera del 15 marzo. C’erano stati tanti morti. Avevo scritto il comunicato, ma non sono riuscito a mandarlo. La tensione era elevatissima, il dolore ha prevalso. Per il resto, mi considero un sindaco fortunato. Nembro è una comunità molto coesa. È la forza che ci aiuterà a ripartire».

Come? «C’è da provvedere al sostegno delle famiglie. Abbiamo fatto non so quante riunioni per i centri ricreativi. Riprende l’attività produttiva. Ce la faremo. Nembro è forte».