Bergamo – Quella del 30 agosto è la notte della resa, della confessione di Moussa Sangare di essere l’assassino di Sharon Verzeni. Ma prima è la notte delle bugie, un castello di menzogne eretto di fronte all’evidenza delle prove che lo inchiodano. Riferisce, annota nell’ordinanza di custodia il giudice delle indagini preliminari del tribunale di Bergamo, Raffaella Mascarino, “tutta una serie di circostanze rivelatesi palesemente false”.
Sangare (che abita a Suisio) in un primo tempo nega di essersi recato a Terno d’Isola negli ultimi mesi. Dichiara di essersi tagliato i capelli per l’ultima volta due o tre mesi prima, ma sono decisamente corti, il taglio è stato molto più recente. Viene messo davanti all’evidenza delle immagini delle telecamere che lo riprendono mentre, in sella a una bicicletta, percorre contromano via Castegnate, a Terno, alle 0.50 e 46 secondi della notte fra il 29 e il 30 luglio. A questo punto Sangare non può più negare né la permanenza a Terno né la sua presenza nella strada dove Sharon è stata appena ferita a morte. È allora che indica un “fantomatico soggetto”, “un amico” che si trovava in compagnia di Sharon, che avrebbe discusso con lei e l’avrebbe accoltellata, per poi minacciare Sangare che aveva assistito alla scena. Ma uno dei primi elementi accertati dalle indagini è stato che Sharon era sola nella passeggiata notturna.
Una bugia, detta quasi come giustificazione o “excusatio non petita”, esce dalla bocca di Sangare, mentre, in un locale del comando carabinieri di Bergamo, conversa con Amin Ettayeb e Mohamed Ghannami, i due giovani che ha incrociato nel parcheggio del cimitero di Chignolo d’Isola e ai quali ha rivolto il saluto arabo “Salam aleikum” (“La pace sia con voi”). L’incontro è avvenuto una ventina di minuti prima dell’omicidio e in un’altra zona. Sangare, però, si preoccupa di precisare ai due di non avere sentito nessuno “urlare”. Tradendosi. Ieri intanto carabinieri e sommozzatori sono tornati a Medolago per cercare le scarpe e la seconda borsa di cui Sangare si era sbarazzato.
“È una piazza che vuole abbracciare, ma è anche una piazza arrabbiata perché contro la violenza sulle donne si potrebbe fare di più, anche sul nostro territorio”. Nel nome e nel ricordo di Sharon Verzeni. “Rete bergamasca contro la violenza di genere” presenta il presidio del pomeriggio di oggi, alle 18.30, in largo Rezzara, a Bergamo. Una mobilitazione permanente che si rinnova ogni 8 del mese. “Sharon - è il comunicato - è stata scelta da Moussa Sangare, l’uomo che l’ha uccisa, perché era il soggetto più debole, non avrebbe fatto lo stesso con un uomo. Sharon è stata uccisa in quanto donna. Il suo è stato a tutti gli effetti un femminicidio”.
“Diamo alla famiglia di Sharon, al suo compagno e a una comunità tuttora molto scossa, tutta la nostra vicinanza e tutto il nostro affetto. Nello stesso tempo esprimiamo solidarietà alla madre e alla sorella di Moussa Sangare perché a loro volta hanno sofferto la violenza domestica. Vogliamo sensibilizzare le istituzioni. Far sentire alle donne, soprattutto a quelle che vivono situazioni di violenza, che non sono sole. Alcune sono con noi, a ogni appuntamento mensile. Quella di oggi sarà anche una piazza antirazzista: la strumentalizzazione della tragedia di Sharon in chiave razzista è un’altra violenza contro la vittima”.
Saranno presenti familiari di Sharon e forse anche il fidanzato Sergio Ruocco, che l’8 agosto, pochi giorni dopo l’omicidio, aveva preso parte al presidio in largo Rezzara insieme con Christopher, il fratello minore della barista, e a uno zio. Come sempre, saranno allestite le sagome fucsia a forma di donna. Ognuna rappresenta un mese dell’anno e porta il nome delle vittime di femminicidio. Le sagome sono ormai 9 e 67 i nomi delle donne uccise dall’inizio dell’anno. Nel 2024 più di 830 chiamate hanno raggiunto i Centri antiviolenza di Bergamo e provincia, 77 solo nel mese di agosto.