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Vince il prof licenziato per la pipì nel cespuglio: "Regole assurde, ora cambiamole"

Bergamo, reintegrato dal giudice. Tra dieci giorni sarà dagli studenti di MICHELE ANDREUCCI

Stefano Rho, il professore di filosofia reintegrato a scuola

Torna al lavoro Stefano Rho, il docente di filosofia dell’istituto Falcone di Bergamo, 43 anni, che il 27 gennaio era stato licenziato, su disposizione della Corte dei Conti, per non aver dichiarato in un’autocertificazione per il ministero dell’istruzione la sanzione penale di 200 euro 11 anni fa: era stato sorpreso di notte dai carabinieri a fare pipì in un cespuglio ad Averara, in Alta Valle Brembana, dopo una sagra. Ieri, davanti al giudice del lavoro del tribunale di Bergamo, Raffaele Lapenta, l’insegnante, assistito dall’avvocato Yvonne Messi, ha accettato la procedura di conciliazione proposta dal ministero dell’Istruzione ed è stato reintegrato. Fra dieci giorni sarà in classe.

Bergamo, 26 marzo 2016 - La decisione del giudice è appena arrivata, Stefano Rho esce dal tribunale di Bergamo. Soddisfatto, professore? «Sono sicuramente contento di tornare a insegnare e a percepire un reddito. Ma questa è una vittoria mutilata. Non potevo non permettermi di non conciliare e ho seguito la strada più rapida. Ma la normativa resta ingiusta».

Il suo caso può servire a cambiare le regole? «Me lo auguro. Spero serva per cambiare queste regole, che sono assurde e mettono nei guai molte persone (almeno una cinquantina i casi analoghi nella Bergamasca, Ndr). Io ho ricevuto molta attenzione, ma conosco uomini e donne che non hanno avuto la stessa fortuna». A chi dice grazie? «Ho ricevuto tanta solidarietà, dai colleghi, alcuni mi hanno aiutato anche economicamente, e soprattutto dagli studenti, che si sono battuti sempre per farmi tornare ad insegnare». Come ha avvertito sua moglie? «Appena sono uscito dall’aula, ho preso il cellulare di un mio amico che l’aveva chiamata e le ho urlato: siamo stati reintegrati. Si è commossa».

Come hanno vissuto in famiglia questi momenti difficili? «È stata dura. Mio figlio maggiore, che ha 7 anni, ha capito tutto e gli ho dovuto spiegare perché ero stato licenziato».

Lei si è trovato a fare i conti con due condanne. La prima, relativa a quel bisogno fisiologico “galeotto”, le è costata 200 euro di ammenda. L’altra è arrivata proprio per non aver dichiarato la prima sentenza: un decreto penale di alcune migliaia di euro, circa 4mila, per aver dichiarato il falso. Ce ne può parlare? «Pochi giorni fa ho terminato di scontare con la messa alla prova la condanna inflitta per aver detto il falso che ha portato successivamente al mio licenziamento».

Cosa ha fatto? «Ho svolto servizio in una comunità per minori stranieri, la don Milani di Sorisole, facendo alfabetizzazione e supporto allo studio. Il decreto penale di condanna mi è arrivato a maggio del 2015. Con il mio legale ho deciso di fare ricorso e in udienza abbiamo chiesto la messa alla prova: svolgere lavori socialmente utili».

Cosa che consente di cancellare la sentenza dai propri precedenti penali. «Sì, la condanna è stata convertita in 40 ore di lavoro. Un’esperienza molto bella, che mi ha consentito di mantenere una continuità con il mio lavoro e di stare vicino a ragazzi tra i 16 e i 18 anni, più o meno la stessa dei miei studenti».

La condanna l’ha scontata proprio mentre arrivava il licenziamento. «Esatto. Ora devo presentare al giudice l’esito del periodo di lavoro con la relazione della comunità: se lo valuterà positivamente anche questa vicenda sarà chiusa».

Cosa dirà ai suoi studenti quando rientrerà in classe? «Non lo so. Sono ancora frastornato. L’unica cosa che mi sento di promettere è il massimo impegno nel mio lavoro, l’unico che ho sempre voluto fare. L’insegnamento per me è tutto e, nonostante questa terribile vicenda, la passione c’è sempre».

Ha prevalso il buon senso. «Era quello che ho sempre chiesto».