FRANCESCO DONADONI
Cronaca

Bergamo, uccide a calci e pugni la compagna. "Ho sentito le urla e il rumore delle botte"

La morte di Viviana Caglioni: il fidanzato arrestato grazie alla testimonianza di uno zio che ha saputo superare il timore di ritorsioni

L'abitazione dove si è consumato il dramma e, nel riquadro, la vittima

L'abitazione dove si è consumato il dramma e, nel riquadro, la vittima

Bergamo, 27 aprile 2020 -  «Tutti devono sapere che la procura è attiva anche durante questa emergenza sanitaria ed è pronta a intervenire". È il commento del procuratore facente funzione Maria Cristina Rota, durante la videoconferenza riguardante l’omicidio nella casa di via Maironi da Ponte. Una storia di maltrattamenti proseguiti nel tempo che la vittima, Viviana Caglioni, 34 anni, pare non avesse mai denunciato. "Il nostro pensiero va a Viviana - ha aggiunto il questore Maurizio Auriemma - E il pensiero va anche a chi, attorno alla sua famiglia, ci ha consentito di ricostruire i fatti".

A uccidere Viviana, o Vivianne come si faceva chiamare, per gli inquirenti è stato il compagno Cristian Michele Locatelli, 42 anni, in carcere con l’accusa di omicidio aggravato da futili e abietti motivi. I due stavano stabilmente assieme da circa sette mesi. Vivevano al primo piano della casa di via Maironi da Ponte, al quartiere Valvedere con la madre di lei, Silvana Roncoli, indagata con l’accusa di favoreggiamento (avrebbe coperto l’assassino). Al piano terra lo zio, Giampietro Roncoli. Un menage familiare che nascondeva insidie. Come ha raccontato durante tre interrogatori lo zio. Ha ammesso di aver paura di Locatelli, che in passato lo aveva più volte minacciato e picchiato. Da lui è arrivato, infine, il contributo che ha messo gli investigatori sulla strada giusta. Sconcerta, invece, l’atteggiamento della madre di Viviana che ancora ieri sosteneva che la figlia fosse morta per "un incidente".

Gli uomini della Squadra mobile, coordinati dal pm Paolo Mandurino, hanno recuperato la telefonata al 118 della notte tra il 30 e il 31 marzo, all’1.08, quando avviene la brutale aggressione che poi provocherà il decesso di Viviana dopo una settimana di coma. Nella telefonata Silvana in un primo momento dice "che una bambina si è buttata nell’acqua". Successivamente dice che è la figlia a stare male, dopo aver battuto la testa "nello spigolo del muro". Locatelli le strappa il telefono e all’operatore riferisce che la donna "respira ancora, non sta morendo. Le serve la classica ambulanza". Nessun cenno a botte. Ma la relazione del personale intervenuto aveva già attestato le violenze.

Dopo il decesso l’autopsia ha confermato il pestaggio, rilevando traumi da calci all’addome e all’inguine. Alla base del massacro ci sarebbe stata la gelosia di Locatelli, per via di una vecchia frequentazione di Viviana, risalente a sette anni prima e ormai archiviata. Decisiva, dopo che il presunto killer il 9 aprile aveva telefonato al 112 dicendo di "aver ucciso una persona", senza fare nomi e finendo denunciato con l’accusa di procurato allarme, è stata la testimonianza dello zio della vittima. Giampietro Roncoli, alla fine, si apre. E racconta quella che per gli inquirenti è la verità. Dice che quella sera Locatelli aveva iniziato a picchiare la nipote al piano di sopra. Le aveva urlato "Io sono un nazista e i nazisti odiano gli anarchici", tornando sulla gelosia nei confronti di un ex fidanzato di Viviana che frequentava certi ambienti politici. Roncoli ha ricordato il rumore forte, l’ultimo colpo alla nuca, la caduta a terra della nipote. E la sua paura a chiamare il 118.