GABRIELE MORONI
Cronaca

Morte di Yara, dal giallo del materiale genetico alle 54 provette fuori dal frigo. Gli avvocati di Bossetti: "Tracce rovinate per sempre"

Bergamo, la battaglia mai finita degli avvocati franata davanti alla decisione della Consulta Ma sulla conservazione delle prove lo scontro continua: interrotta la catena del freddo

Massimo Bossetti condannato per l'omicidio di Yara Gambirasio

Massimo Bossetti condannato per l'omicidio di Yara Gambirasio

Bergamo, 17 febbraio 2024 –  In quei reperti al centro di una infinita "querelle" giudiziaria è racchiuso l’epilogo della brevissima vita di Yara Gambirasio.

Le ultime ore. L’incontro con il suo carnefice. La lunga agonia nella notte. La morte. Sono 54 le provette con il Dna rimasto su slip e leggings della tredicenne di Brembate di Sopra di Brembate rilasciato da quell’"Ignoto 1" che la genetica ha identificato con scientifica sicurezza in Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore di Mapello che sconta una condanna definitiva all’ergastolo. E poi la felpa, il giubbotto, i leggings, gli slip, la biancheria, le scarpe che la tredicenne di Brembate di Sopra indossava quando scomparve, la sera del 26 novembre del 2010, per essere poi ritrovata, senza vita, tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, in un campo a Chignolo d’Isola. Una vicenda lunga, tortuosa, con continui viavai fra Bergamo e Roma. Il 27 novembre del 2019 la Corte d’Assise di Bergamo autorizza l’esame dei reperti. La mattina dopo Claudio Salvagni e Paolo Camporini, difensori di Bossetti, notificano la decisione alla Procura e all’Ufficio corpi di reato e chiedono la conservazione dei reperti.

Pochissimi giorni ancora e il 2 dicembre il presidente della prima sezione penale, Giovanni Petillo, invia all’Ufficio corpi di reato del tribunale bergamasco un provvedimento in cui viene precisato come l’autorizzazione sia da intendersi come "mera ricognizione (...) rimanendo esclusa qualsiasi operazione di prelievo o analisi": quindi presa visione (alla presenza della polizia giudiziaria). Nessun esame invasivo. Non si potranno toccare gli abiti di Yara. Né cercare nuove risposte nei campioni genetici. Un salto di alcuni anni, che vedono respinte le istanze della difesa per conoscere tempi e modalità di un’operazione autorizzata. Si arriva al 19 maggio del 2023. La prima sezione penale della Cassazione accoglie con rinvio a Bergamo il ricorso degli avvocati di Bossetti e annulla l’ordinanza del 21 novembre del 2022 con cui la stessa Assise bergamasca ha detto l’ultimo "no".

L’autorizzazione alla difesa "deve ritenersi irrevocabile, valida, vigente, intangibile e non può essere discussa". Viene consentito l’accesso ai reperti nei limiti della presa visione. Quindi nessun esame invasivo. L’appuntamento per fissare le modalità operative è il 20 novembre. Ma l’udienza alla Corte d’Assise di Bergamo viene rinviata. Cosa è accaduto? I difensori del muratore di Mapello si sono rivolti alla Cassazione con un "ricorso straordinario per errore materiale o di fatto".

Quello di Salvagni e Camporini è un ricorso particolarmente tecnico, con numerosi richiami a sentenze della Sezioni Unite. I capisaldi sono soprattutto due. Un giudice non può modificare una sua precedente decisione, correggendola. Il 27 novembre del 2019 la Corte d’Assise di Bergamo ha ammesso l’analisi, in particolare di quelli biologici. E la sentenza di maggio della Cassazione ha ribadito che il provvedimento è intangibile. Ma, sostiene la difesa dell’ergastolano, il pronunciamento della Cassazione incorre in un errore di "lettura" del provvedimento, attribuendogli un contenuto differente. I giudici romani hanno inserito nella sentenza il provvedimento del presidente Petillo che delimitava il perimetro in cui andava circoscritto l’esame. Ma per gli avvocati di Bossetti si trattava di una "nota" solo per l’Ufficio corpi di reato.

La storia dei 54 campioni di Dna scorre in parallelo. Non è vero, sostengono i difensori di Bossetti, che il materiale genetico sia esaurito. Al contrario ci sono le 54 provette conservate a 80 gradi sotto zero all’ospedale San Raffaele di Milano. Marzo 2019. Il pm Letizia Ruggeri chiede al tribunale di spostare le 54 provette. Lo spostamento è autorizzato a settembre. Il 21 novembre le provette vengono tolte dal frigo e consegnate dal professor Giorgio Casari, genetista del San Raffaele, ai carabinieri di Bergamo. Raggiungono l’Ufficio corpi di reato del Palazzo di giustizia bergamasco il 2 dicembre, quando viene eseguita la confisca disposta dal tribunale su richiesta della procura. Tutto questo per la difesa di Bossetti ha causato l’interruzione della catena del freddo e l’inevitabile, irrimediabile consunzione dei reperti.