GABRIELE MORONI
Cronaca

Omicidio di Yara Gambirasio, la Cassazione non permette esami invasivi su slip, leggings e reperti: ecco perché

Gli avvocati di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per aver ucciso la tredicenne, volevano un’analisi approfondita. Ma la Suprema Corte ha respinto il ricorso. I legali: “Sentenza folle”

Al centro, Massimo Bossetti, condannato all'ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio

Al centro, Massimo Bossetti, condannato all'ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio

Quello dei reperti legati alla tragedia di Yara Gambirasio sarà per la difesa di Massimo Bossetti un esame “esterno”, una presa visione e non un'analisi, un esame invasivo come richiesto dai legali dell'uomo che sconta una condanna definitiva all'ergastolo per l'omicidio della tredicenne di Bfzembate di Sopra, nella Bergamasca. La quinta sezione penale della Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso “straordinario” degli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, legali di Bossetti. Per il rigetto del ricorso si era pronunciata anche la Procura generale presso la Cassazione nell'udienza di ieri.

Durissimo il commento "a caldo" di Claudio Salvagni, uno dei difensori del muratore di Mapello: "Questa è una cosa di una gravità assoluta. Hanno trasformato il bianco in nero come se fosse la cosa più naturale del mondo. Questa è una sentenza folle".

Al centro della interminabile saga giudiziaria i reperti: 54 provette con il Dna di "Ignoto 1" rimasto su slip e leggings della vittima e in seguito attribuito a Bossetti dall'esame genetico, la felpa, il giubbotto, i leggings, gli slip, la biancheria, le scarpe che la piccola Gambirasio indossava quando scomparve, la sera del 26 novembre del 2010, per essere poi ritrovata, senza vita, tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, in un campo a Chignolo d'Isola.

La Suprema Corte doveva decidere se la difesa avesse il diritto di analizzare (come ripetutamente richiesto) i reperti o se invece l'esame deve rimanere circoscritto entro i limiti fissati fino a questo momento: una presa visione da parte dei legali di Bossetti e dei loro consulenti e non altro.

Una vicenda lunga, tortuosa, fatta di rimpalli fra Bergamo e Roma. Il 27 novembre del 2019 la Corte d'Assise di Bergamo autorizza l'esame dei reperti. La mattina dopo gli avvocati di Bossetti notificano la decisione alla Procura e all'Ufficio corpi di reato e chiedono la conservazione dei reperti.

Pochissimi giorni ancora e il 2 dicembre il presidente della prima sezione penale, Giovanni Petillo, invia all'Ufficio corpi di reato del tribunale bergamasco un provvedimento in cui viene precisato come l'autorizzazione sia da intendersi come "mera ricognizione dei corpi di reato (...) rimanendo esclusa qualsiasi operazione di prelievo o analisi degli stessi": quindi presa visione (alla presenza della polizia giudiziaria). Nessun esame invasivo. Non si potranno toccare gli abiti di Yara. Non sarà possibile cercare nuove risposte nei campioni genetici.

Un salto di alcuni anni. Sono anni che vedono respinte le istanze della difesa per conoscere tempi e modalità di un'operazione comunque autorizzata. Si arriva al 19 maggio del 2023. La prima sezione penale della Cassazione accoglie con rinvio a Bergamo il ricorso degli avvocati di Bossetti e annulla l'ordinanza del 21 novembre del 2022 con cui la stessa Assise bergamasca, come giudice dell'esecuzione, ha detto l'ultimo "no". L'autorizzazione alla difesa "deve ritenersi irrevocabile, valida, vigente, intangibile e non può essere in alcun modo discussa". Viene consentito l'accesso ai reperti nei limiti della presa visione. Quindi nessun esame invasivo.

L'appuntamento per fissare le modalità operative è il 20 novembre. Ma l'udienza alla Corte d'Assise di Bergamo viene rinviata. Cosa è accaduto? I difensori del muratore di Mapello si sono rivolti alla Cassazione con un "ricorso straordinario per errore materiale o di fatto". Quello di Salvagni e Camporini è un ricorso particolarmente tecnico, con numerosi richiami a sentenze della Sezioni Unite.

I capisaldi erano soprattutto due. Primo. Un giudice non può modificare una sua precedente decisione, correggendola (e quindi correggendo se stesso), pena lo stravolgimento del nostro sistema processuale, scrivono i legali di Bossetti. Il 27 novembre del 2019 la Corte d'Assise di Bergamo ha ammesso l'analisi dei reperti, in particolare di quelli biologici, da parte della difesa e non solo la loro osservazione. E la sentenza di maggio della Cassazione ha ribadito che il provvedimento del novembre 2019 è intangibile e irrevocabile. Quella decisione va rispettata, è un pietra miliare, inamovibile. Ma, sostiene la difesa dell'ergastolano, il pronunciamento della Cassazione incorre in un errore di "lettura" del provvedimento bergamasco del 2019, attribuendogli un contenuto differente. Sbaglia quando ritiene che autorizzasse la sola osservazione dei reperti, quando invece ne ammetteva l'analisi.

Secondo. I giudici romani hanno inserito nella loro sentenza il provvedimento del presidente Petillo che delimitava il perimetro in cui andava circoscritto l'esame dei reperti. Ma per gli avvocati di Bossetti si trattava di una "nota" indirizzata esclusivamente all'Ufficio corpi di reato e non alla difesa, che infatti non l'ha mai ricevuta.