La rapina, il cutter e il Dna: i punti chiave

Omicidio Del Gaudio, l’assoluzione di Tizzani smonta un’indagine durata quattro anni e lascia il delitto senza un colpevole

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Antonio Tizzani all’uscita dal Tribunale di Bergamo.

di Francesco Donadoni

"Uno che non ha fatto niente che cosa si deve aspettare? Ora passerò il Natale con figli e nipoti. L’assassino di mia moglie è ancora in giro. L’incappucciato? Io quello ho visto". Sono le prime parole pronunciate all’uscita dal tribunale, dopo la lettura della sentenza, da Antonio Tizzani, 72 anni, marito e unico indagato per l’omicidio della moglie, l’ex professoressa Gianna Del Gaudio, 63 anni, uccisa nella notte tra il 26 e il 27 agosto 2016, con una coltellata alla gola nella villetta di famiglia a Seriate. L’ex ferroviere è stato assolto da tutto con formula piena (530, comma 1). Dall’omicidio della moglie, per non aver commesso il fatto, e perchè il fatto non sussiste per quanto riguarda i maltrattamenti. Le motivazioni verranno rese note entro i prossimi 90 giorni.

Resta quindi senza un colpevole l’omicidio dell’ex professoressa. Eppure per l’accusa, sostenuta dal pm Laura Cocucci, che ne aveva chiesto la condanna, la ricostruzione fatta da Tizzani, più ai giornali e alle televisioni che al giudice, tranne durante la sue deposizione (per confermare quello che aveva sempre detto), era subito apparsa lacunosa. A cominciare dal ladro incappucciato che quella sera di agosto si sarebbe introdotto nella villetta a scopo di rapina e poi sarebbe fuggito ma senza portar via nulla. Certo, la famosa collana che Gianna teneva sempre addosso non è mai stata trovata. E ancora. In casa non sono state mai trovate altre impronte di scarpe, tranne quelle di un ausiliare del 118 e di un militare della Scientifica. Altro punto su cui si è basata l’accusa, il Dna di Tizzani sul cutter.

Poi il capitolo maltrattamenti, con tanto di certificati medici. Solo il figlio Mario si è spinto ammettendo che sì, il papà qualche volta aveva dato uno schiaffo alla mamma. Infine le urla sentite quella sera, per l’accusa riconducibili a un lite tra i coniugi. E, infine, le intercettazioni ambientali in auto, in cui l’ex ferroviere aveva detto: "Ho ucciso un angelo, ho ucciso mia moglie", per la procura una sorta di confessione.

"Non capisco da dove viene questa accusa, per quale motivo. Mia moglie c’è sempre, Gianna è qui con me. La giustizia mi ha assolto, ma io mi sono lo stesso condannato. Provate a stare da soli, e capirete. I miei figli non hanno mai dubitato di me. E nemmeno gli amici veri. I maltrattamenti? Ma potevo mai fare una cosa del genere a mia moglie. È stata dura: sono tanti quattro anni e quattro mesi". Il difensore dell’ex ferroviere, Giovanna Agnelli, che aveva chiesto l’assoluzione sia per l’omicidio che per i maltrattamenti ha dichiarato; "È stato un lavoro difficile e complesso - ha commentato - Il pm ha portato avanti le indagini puntando solo ed esclusivamente su Tizzani, lasciando perdere le altre ipotesi investigative. Sarà interessante leggere le motivazioni". Nella sua requisitoria aveva sostenuto l’innocenza del suo assistito su tre punti. Gli esiti delle consulenze dei medici legali, secondo cui con quelle modalità di uccisione l’assassino non poteva non sporcarsi di sangue, vista la quantità uscita. D’altro canto però non sono state riscontrate tracce ematiche sugli indumenti, l’orologio e l’anello che aveva Tizzani. In merito alle urla sentite quella notte da alcuni vicini e in particolare da due ragazze, per la difesa erano attribuibili al ritrovamento del cadavere della moglie. Infine, il Dna sul cutter, arma del delitto, può essere dovuta a una contaminazione tra i reperti di laboratorio. Oppure tracce di Tizzani potrebbero essere state presenti sul sacchetto di mozzarelle sul quale venne usato. Un intrigo, un giallo senza colpevole.