MICHELE ANDREUCCI
Cronaca

Detenuto per due anni in una cella di 2,6 metri quadrati, risarcito con 7mila euro: “Condizioni disumane”

Bergamo, la Cassazione ha dato ragione all’uomo e bocciato il ricorso del ministero della Giustizia

L'interno del carcere di via Gleno a Bergamo

Bergamo – I tempi in cui era considerato l’Hilton delle carceri italiane sono ormai un pallido ricordo. Anche la casa circondariale di Bergamo, nonostante spicchi ancora per le opportunità di lavoro offerte ai detenuti, soffre per il sovraffollamneto delle celle. Così capita che un detenuto decida di fare causa all’istituto per "detenzione attuata in condizioni inumane e degrandanti". E che il tribunale gli dia ragione.

In questo caso si tratta della Corte di Cassazione che ha confermato il risarcimento pari a 7mila euro a favore dell’uomo, un cittadino di origini straniere rinchiuso nel carcere di via Gleno per 878 giorni (2 anni e 5 mesi), usufruendo "di uno spazio minimo vitale all’interno delle camere di pernottamento di appena 2,6 metri quadrati senza la sussistenza di fattori compensativi".

L’uomo ha fatto ricorso al Tribunale di Sorveglianza di Brescia, che gli ha dato ragione stabilendo una "misura indennitaria" di settemila euro: 8 euro al giorno. Il ministero della Giustizia ha impugnato la decisione dei giudici bresciani, portando la causa in Cassazione, dove gli "ermellini" hanno rigettato il ricorso del ministero confermando la legittimità del risarcimento.

Il ministero ha spiegato che le camere di detenzione ove fu ristretto l’interessato erano dotate di finestre, i servizi igienici erano dotati di finestra e fruibili in maniera riservata, le docce dotate di acqua calda. Il detenuto, inoltre, poteva fruire della “custodia aperta”, potendo permanere fuori della camera di pernottamento dalle 8.30 alle 20.30, e nei cortili di passeggio per quattro ore al giorno. Inoltre il detenuto ha svolto attività lavorativa in qualità di inserviente di cucina. E dunque, è la tesi del ministero, la carenza di spazio in cella è compensata e non può da sola far ritenere che il detenuto sia stato ristretto in regime "inumano e degradante".

Tesi contestata dallo stesso procuratore generale della Cassazione: "Il Tribunale di Sorveglianza di Brescia dopo aver rilevato che il detenuto fu ristretto in una cella con spazio inferiore a 3 metri quadri, ha correttamente osservato che il periodo interessato dall’assenza di adeguati spazi all’interno della cella è stato infatti particolarmente ampio, essendosi protratto per ben 878 giorni".