
Antonella Giua con il marito Ermanno Cereda, che aveva intentato una causa civile contro l’ospedale(Foto De Pascale)
Bergamo, 3 maggio 2016 - Si riapre il caso di Antonella Giua, la donna morta il 2 settembre del 2013 all’età di 40 anni, dopo 13 anni di coma dovuto ad un intervento di raschiamento effettuato ai vecchi Ospedali Riuniti di Bergamo il 14 marzo del 2000, una ventina di giorni dopo aver partorito il proprio figlio. La vicenda ha già avuto uno strascico giudiziario nel 2004, con la condanna in primo grado, per lesioni colpose gravissime, dell’allora primario di Anestesia Giuseppe Ricucci (200 euro di multa), dell’anestesista Roberto D’Amicantonio (22 mesi con pena sospesa) e dell’ingegnere Alberico Casati, all’epoca responsabile della manutenzione delle apparecchiature dell’ospedale di Bergamo (300 euro di ammenda).
Il marito della donna, Ermanno Cereda, autotrasportatore milanese, aveva intentato anche una causa civile contro l’ospedale e nel 2005 il giudice aveva stabilito che alla famiglia di Antonella spettavano 1 milione e 250mila euro di risarcimento. Nel 2010, però, il processo penale di primo grado era finito in prescrizione prima di arrivare in appello e gli imputati erano stati prosciolti. Ma dopo la morte di Antonella Giua, i pubblici ministeri Carmen Pugliese, titolare dell’inchiesta aperta dopo la disgrazia, e Lucia Trigilio, il magistrato di turno il giorno del decesso, avevano aperto un fascicolo per omicidio colposo e avevano iscritto nel registro degli indagati l’ex primario, l’ex anestesista e l’ingegnere. L’indagine è terminata nei giorni scorsi e i due magistrati hanno chiesto il rinvio a giudizio degli imputati. Stamani è in programma l’udienza preliminare, al termine della quale il gip Bianca Maria Bianchi dovrà decidere se accettare o meno le richieste dell’accusa.
Tutto inizia l’1 marzo del 2000, quando Antonella Giua, ai tempi 27enne, deve sottoporsi ad un intervento di raschiamento: il parto fila liscio, restano da asportare solo alcuni residui di placenta. Nulla di preoccupante, tanto che madre e neonato vengono dimessi. Il 13 marzo, però, la giovane inizia ad accusare forti dolori. Antonella resiste fino a sera, poi si fa accompagnare all’ospedale dal marito. L’intervento è uno di quelli di routine e viene programmato per l’indomani, perchè la paziente ha appena cenato e può essere rischioso intervenire. Il 14 marzo, però, in sala travaglio qualcosa non funziona.
La presa del tubo che avrebbe dovuto portare ossigeno è inserita male e a un certo punto si stacca. Nessuno dei medici si accorge di nulla, anche perchè l’apparecchiatura con cui sta operando non è dotata di sistema d’allarme. Parte la denuncia del marito della donna e all’inizio vengono indagati in sei. Ma a processo, per lesioni colpose gravissime, finiscono in tre. Quindi il priosciolglimento per intervenuta prescrizione e, dopo la morte di Antonella Giua, la nuova inchiesta per omicidio colposo.