
Il Tribunale di Bergamo
Bergamo, 29 giugno 2019 - Era assurta agli onori delle cronache nel 2015 quando, detenuta nel carcere di Bergamo per una serie di truffe (deve scontare un cumulo pene di oltre 14 anni, uscirà nel 2020), aveva avviato un rapporto epistolare hot con Massimo Bossetti, il muratore di Mapello condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, in quel periodo già dietro le sbarre della casa circondariale di Bergamo. Adesso, invece, L.A., meglio conosciuta come “Gina”, 48 anni, di origini sinti di Romano di Lombardia, sposata con un giostraio, madre di quattro figli, è finita nuovamente a processo, con una complice, E.P., 51 anni, di Martinengo (ha già scontato 3 anni e 6 mesi per truffa).
Secondo l’accusa, il 17 gennaio 2011, a Calcio, le due avrebbero pagato una stufa a pellet, del valore di 996 euro, utilizzando un assegno falso e smarrito il 25 maggio del 2010, emesso dal Banco di Desio. Avevano compilato l’assegno con la firma di E.P. ed erano state così scoperte, essendo conosciute come abili truffatrici. Il processo inizierà il 25 settembre a Bergamo. La corrispondenza con Bossetti, come detto, era stata caratterizzata da frasi hot. Il carpentiere di Mapello, oltre che a descriversi fisicamente (e così aveva fatto lei), le aveva confidato di essere innocente. “Gina” all’epoca, al settimanale “Giallo” aveva detto che Bossetti le mandava quelle lettere per vendicarsi della moglie Marita, dopo la scoperta dei presunti tradimenti di quest’ultima. La carriera criminale di L.A. è costellata di truffe. Come quella ai danni di un direttore di banca con il quale si era spacciata per veterinaria. Riuscì a guarire il suo cane con un’aspirina e da quel giorno, oltre a guadagnarsi la stima del direttore, ottenne molti soldi.