A Bergamo un lavoratore agricolo su due è immigrato. “Servono case e servizi”

Presentato il dossier di Fai Cisl “Made in Immigritality”, un viaggio nel settore agroalimentare italiano con un focus sulla bassa bergamasca, dove sono impiegati 6mila addetti stranieri, di cui 1.200 indiani

A Bergamo il 50% degli addetti del settore agroalimentare è straniero

A Bergamo il 50% degli addetti del settore agroalimentare è straniero

Bergamo, 17 ottobre 2024 – Gli stranieri sono la metà dei lavoratori agricoli dipendenti della provincia di Bergamo. E gli indiani, a loro volta, sono la metà degli stranieri occupati nel settore. È quanto emerge da “Made in Immigritaly. Terre, colture, culture”, il primo report su lavoratrici e lavoratori immigrati nell’agroalimentare italiano. Il dossier è stato commissionato dalla Fai Cisl, realizzato dal Centro Studi Confronti ed è stato curato da Maurizio Ambrosini, Rando Devole, Paolo Naso, Claudio Paravati. La ricerca raccoglie dati, analisi e proposte e approfondisce anche nove casi studio territoriali, tra i quali la pianura della bassa bergamasca, specializzata nella produzione lattiero-casearia e nella trasformazione del latte - in modo particolare nella produzione del formaggio Grana Padano - dove è stato studiato il ruolo degli indiani di religione sikh nella zootecnia.

I numeri nella provincia

In provincia di Bergamo, negli ultimi anni, sono state fatte quasi 15mila assunzioni nel settore agricolo. Data la stagionalità tipica del settore e dall’usura fisica che l’attività agricola comporta, la gran parte delle assunzioni sono concentrate nelle fasce d’età più giovani, tra i 20 e i 39 anni. Da un punto di vista della nazionalità dei lavoratori assunti, solo il 45% è italiano, il 5% originario di un Paese dell’Unione Europea, mentre il 50% è originario di un Paese extracomunitario. I lavoratori italiani vengono maggiormente impiegati nelle fasce d’età più giovani (15-19 e 20-24 anni) e meno giovani (55-59 e 60-64 anni). “Una particolarità del rapporto è quello di sottolineare il problema per cui buona parte della popolazione, di fronte all’eccellenza del made in Italy, non si preoccupa del ruolo e delle condizioni di vita dei lavoratori immigrati occupati in questo settore, come invece fatto dalla Fai – ha sottolineato Gianluigi Bramaschi, segretario generale di Fai Cisl Bergamo - che in questi anni ha affrontato le problematiche riguardanti questi lavoratori, seguendo azioni verso la loro inclusione, con percorsi utili a difenderne la dignità, oltre che a valorizzarne l’impegno e la professionalità, visto che rappresentano un pilastro sociale, economico e culturale dell’economia locale”.

I numeri nella regione

Secondo i dati ufficiali, nell’intero settore agricolo, in Lombardia i lavoratori immigrati sono 60.316. Poco più di 40mila di questi lavoratori arrivano da Paesi comunitari, mentre circa 20.200 arrivano da Paesi extra UE. Bergamo occupa oltre 6.000 operai stranieri. Di questi, quasi 2.500 sono extracomunitari. Il gruppo dei Sikh, con quasi 1.200 occupati, è senza paragone il più grande in assoluto tra quelli impiegati, soprattutto nella “bassa” e nel reparto dell’allevamento dei bovini, quello meno soggetto a stagionalità e precarietà. “Proprio loro hanno saputo cogliere al volo la domanda di nuovi bergamini nella pianura e in quella orobica in particolare – spiega il sindacato -. Il rischio di scomparsa della figura del pastore ha comportato che l’immigrazione straniera, soprattutto quella indiana, abbia contribuito a salvare produzione e strutture produttive, dal momento che le fasce più giovani della popolazione locale”.

Accoglienza e servizi

“Sappiamo bene che il made in Italy del cibo viene prodotto da molti stranieri nella nostra provincia – ha detto Francesco Corna, segretario generale Cisl di Bergamo -. Purtroppo ancora per molti cittadini, questi lavoratori si vorrebbero relegare nei campi e vederli girare il meno possibile. L’idea della Cisl, invece, è che il loro supporto sia importante e determinante e non solo nell’agricoltura, perciò dobbiamo farci carico dell’integrazione delle persone che arrivano a vivere da noi. Creare condizioni affinché siano accolte e abbiano servizi e abitazioni adeguati alle loro esigenze. Ne abbiamo bisogno noi e il sistema produttivo, ma è una questione di dignità”.