Morte Salvadori per overdose, Panda si difende

Roberto Pandolfi: "Non sono un santo, ma con la fine di Matteo non c'entro"

Il Tribunale di Sondrio

Il Tribunale di Sondrio

Sondrio, 9 aprile 2016  - «Non sono un santo, guai con la giustizia ne ho avuti tanti e la condanna per spaccio me la tengo. Ma quella per la morte di Matteo Salvadori non la posso accettare». A parlare è Roberto Pandolfi, 51 anni (detto Panda), residente Bianzone, che insieme a Silvia Poletti, 27 anni, mercoledì scorso, in tribunale a Sondrio, è stato giudicato colpevole dell’accusa di «morte come conseguenza di altro reato». I  due sono stati riconosciuti responsabili della morte per overdose di Salvadori, avvenuta l’8 giugno 2014, dopo che il giovane aveva assunto eroina. Droga che, secondo gli inquirenti, aveva acquistato poco prima proprio dalla coppia di pusher.

«Per questo fatto io e la mia amica Silvia Poletti siamo stati arrestati nel marzo 2015, ma non siamo stati noi a cedere quella dose - continua - Il giudice ci ha condannati senza tenere conto degli atti: primo fra tutti l’esame del dna effettuato sulle buste trovate accanto al cadavere. Secondo quell’esame sul cellophane e pure sulla siringa c’erano tracce biologiche riconducibili a un soggetto ignoto. Un soggetto ignoto, quindi, né io né la Poletti. E questo significa che si tratta di qualcun altro di cui non si conosce l’identità. Davanti a una situazione simile un inquirente coscienzioso avrebbe dovuto cercare questo «ignoto» e non arrestare noi». Ma non è finita. Il valtellinese, infatti, punta il dito anche sui filmati registrati all’interno di un bar della Piastra la sera prima della morte del giovane.

«In quei video ci siamo io, Silvia Poletti e Matteo Salvadori. Secondo l’accusa lì ci sarebbe la prova della cessione di droga perché si vede Salvadori ricevere una busta da me… Ma chi può dire cosa ci fosse lì dentro? Io so per certo che non c’era eroina. Per questo e per quanto detto riguardo i test del dna non posso accettare di essere condannato per la morte di questo ragazzo. E poi è assurdo che mi siano stati dati solo sei mesi per un fatto simile, è una pena minima, decisa solo per non assolvermi. Un nulla in confronto ai due anni e quattro mesi di condanna inflittami per una ventina di episodi di spaccio, non c’è proporzione. Io sono sicuro che questo sia stato fatto solo per trovare un colpevole e chiudere il procedimento. Ma non siamo noi i colpevoli di questa morte».