La ricercatrice che ha un sogno: "I videogiochi per spegnere l’ansia"

La psicologa Pallavicini: allo studio un effetto benefico sulla mente

Il visore virtuale  del progetto Virtual videogames

Il visore virtuale del progetto Virtual videogames

Sondrio, 9 dicembre 2017 - Cosa distingue un’esperienza di gioco in realtà virtuale? A porsi il quesito è Federica Pallavicini, sondriese classe 1984, di professione ricercatrice e psicologa presso l’Università Bicocca di Milano, dove lavora come esperta nello studio delle applicazioni di tecnologie avanzate applicate al benessere e alla salute della persona. In lei la passione per il «gaming» sposa la scienza e la sua anima «nerd» si pone al servizio della ricerca. Alle spalle oltre 40 pubblicazioni su prestigiose riviste internazionali e, fra gli altri, il progetto «Virtual videogames», esportato perfino negli Stati Uniti.

Dalla Valle al mondo della ricerca virtuale. Come ci è arrivata?

«In realtà il mio percorso è stato costellato da porte chiuse, più che altro tanti «no» che si sono trasformati in opportunità. Ho sempre amato le neuroscienze così, nel 2003, mi sono trasferita a Milano per studiare Psicologia clinica al San Raffaele dove, per qualche anno, ho lavorato nel reparto di Psichiatria. Poi, con lo scandalo che ha investito l’ospedale, alcuni gruppi si sono disgregati – il mio compreso - e mi sono ritrovata al punto di partenza. Sono poi approdata all’Istituto Auxologico italiano e in seguito all’Università Bicocca per il dottorato di Ricerca. Qui sono riuscita a trasformare la mia passione per videogiochi e tecnologia in un lavoro, ben conciliandola gli studi in Psicologia».

È corretto definirla «ricercatrice di tecnologie avanzate»?

«La dicitura esatta sarebbe «assegnista di ricerca» presso il dipartimento di Scienze e formazione dell’Università Bicocca».

Un lavoro come un altro o un sogno che si realizza?

«Sono certa che l’esperto in realtà virtuale e tecnologie presto diventerà un lavoro come un altro, una figura professionale sempre più comune. Dal canto mio, sono felice di poter applicare le mie conoscenze al fantastico mondo del gaming: un ruolo a metà strada fra quello del programmatore e del concept designer. In pratica ipotizzo storie e scenari affinché un videogioco abbia, accanto al divertimento, anche un risvolto benefico sulla psiche del giocatore. Un mondo affascinante che mi ha portato a presentare il progetto «Virtual videogames» alla «Milan Games Week», a partecipare alla «Notte europea dei ricercatori» e perfino a Los Angeles. Ora stiamo cercando di esportare il progetto a Las Vegas».

Di che si tratta esattamente?

«Il progetto, nato un anno fa dalla collaborazione dell’Università Bicocca con il blog Psicologia dei videogiochi, punta a comprendere come cambi l’esperienza del giocatore immerso in una realtà virtuale, attraverso un apposito visore di realtà virtuale. Lo studio mira anche a capire come i videogiochi commerciali possano essere sfruttati per favorire un potenziamento emotivo e cognitivo, ad esempio nella gestione dell’ansia».

Intelligenze artificiali e social, in futuro, potrebbero compromettere la natura più autentica dei rapporti umani?

«La vedo più come un’evoluzione in termini di arricchimento dei rapporti. Del resto, i social, sono nati dall’esigenza di comunicare e combattere l’isolamento consentendo di intercettare persone che condividono gli stessi interessi anche tramite gruppi dedicati. Trovo piuttosto che occorra puntare di più sull’educazione ad un corretto utilizzo di tutti i nuovi mezzi».