Il bunker della ’ndrangheta a Voghera. Preso il boss che smerciava coca al Nord

L’operazione Lex decapita due cosche. Perquisito a Milano studio di penalista

Conferenza stampa

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Maxi operazione antimafia della Dda di Reggio Calabria: 41 fermi in tutta Italia. E, come spesso capita, molti dei presunti affiliati alle ’ndrine sono stati presi in Lombardia, o comunque avevano interessi economici nelle province di Como, Milano, Monza-Brianza, Pavia e Varese. All’alba di ieri, i carabinieri hanno fatto scattare le manette, su disposizione dei pm calabresi: in particolare, i militari del comando provinciale di Milano ne hanno bloccati sette, di cui tre della cosca Lamari fuori da una sala parto dell’ospedale di Carate. Nelle carte emerge pure la figura dell’avvocato Domenico Chindamo, indagato per trasferimento fraudolento di valori: al fine di aggirare le norme sulla prevenzione patrimoniale, avrebbe orchestrato l’intestazione fittizia a due prestanome della ditta di import-export utilizzata in realtà dal presunto boss Marco Ferrentino per il traffico di cocaina.

Milano, 4 novembre 2016 - Le riunioni di ’ndrangheta si tenevano in un capannone di via del Merlo a Voghera. Lì il presunto boss Marco Ferrentino, criminale in ascesa e con un tale prestigio interno da meritarsi il blasfemo appellativo di «Bambinello Gesù», riuniva i sodali per prendere le decisioni più importanti sulla gestione degli affari sporchi. E ancora lì, secondo quanto verificato nell’aprile del 2015 dai carabinieri di Gioia Tauro, il reggente dell’omonima cosca di Laureana di Borrello si era fatto costruire un vano sotterraneo accessibile da una scala in muratura «assimilabile, per conformità strutturale e ubicazione, a un bunker». Un bunker con tanto di bagno, condotti di aria esterna e impianto di illuminazione. Evidentemente Ferrentino sentiva il fiato sul collo degli investigatori, e lo preoccupava altrettanto il possibile esito negativo di un processo in corso a Lecco: «Ci buttiamo latitanti (in caso di condanna, ndr)», il suggerimento al telefono di un altro dei 41 fermati.

Timori di blitz e procedimenti pendenti non impedivano comunque al trentaseienne di portare avanti il suo progetto: «Allargare (riuscendoci) – sostengono i magistrati della Dda di Reggio Calabria – i confini mafiosi della ’ndrina che capeggia “clonandoli” nel Nord Italia (a Voghera), e con un occhio di riguardo alla principale fonte illecita di guadagno rappresentata dal traffico di stupefacenti». Già, gli stupefacenti, fonte di introiti numero uno della cosca. Per smerciare cocaina, il clan aveva creato ad hoc la ditta United Seed’s Keepers srl, intestata fittiziamente a due donne prestanome rispettivamente con il 34% e il 66% delle quote ma di fatto gestita da Ferrentino e dal suo braccio destro in campo imprenditoriale Giuseppe Dimasi: la droga arrivava nei container dal Sudamerica occultata tra tonnellate di riso, passava i controlli al porto di Gioia Tauro e in parte risaliva la penisola per essere venduta al dettaglio da altre due donne (entrambe ora ai domiciliari) nella zona di Gallarate.

Pure i Lamari, altra cosca decapitata dall’operazione Lex della Dda reggina, aveva messo solide basi in Lombardia, se è vero che tra i beni sequestrati ci sono pure un immobile a Castellanza, in provincia di Varese, e una villa a due piani a Bregnano, nel Comasco, ufficialmente di proprietà della società di comodo Giorgio srl con sede in via Monti, in centro a Milano, ma in realtà nella disponibilità del capofamiglia Angelo.