Il grido di dolore dell'imprenditore: "Io, rovinato dallo Stato"

Il grido di dolore dell'imprenditore Sergio Bramini, fallito con oltre 4 milioni di crediti

Monza, Sergio Bramini

Monza, Sergio Bramini

Monza, 29 marzo 2017 - "Ero un benestante, mi hanno ridotto a un pezzente!". C’è un signore di settant’anni appena compiuti che da qualche tempo compare davanti ai Tribunali di Monza e Milano. Nato sui Navigli a Milano, ma da 21 anni a Monza, Sergio Bramini attende che gli vendano pezzo per pezzo la sua grande villa, che aveva comperato vent’anni fa a Sant’Albino. "Ingiustizie su ingiustizie, non credevo neppure io che si potesse arrivare a tanto" racconta con un filo di voce. La sua storia è presto detta. Geometra e chimico di formazione, ex imprenditore di successo ("ho cominciato quando avevo appena 24 anni e sono arrivato a fatturare fino a 5 milioni di euro"), si è sempre occupato di trattamento di rifiuti.

Negli anni della “Milano da Bere”, il cartellone col nome della sua I.CO.M. Milano Spa campeggiava nelle gallerie della metropolitana 3 ("mi ero occupato io della sua impermeabilizzazione"), poi tutto a gonfie vele sino alla crisi degli ultimi anni. "Ma io sono innocente", si batte il petto. Il problema è che la Icom vince diversi appalti, anche milionari, per pubbliche amministrazioni del Sud Italia, dall’“emergenza rifiuti” di Napoli a diversi Comuni siciliani. Ma i pagamenti non arrivano. Ritardi dopo ritardi, le banche interrompono le linee di credito, e Sergio Bramini si ritrova con l’acqua alla gola.

"Avanzo crediti per 4 milioni e 300mila euro: 4 dalla pubblica amministrazione, 200mila euro dall’Ucraina!". Gli operai (23) e gli impiegati (9) della sua azienda, uffici a Bresso, però vanno pagati. Bramini si rifiuta di lasciarli sul lastrico e commette l’unico errore, a sua detta: accende mutui su mutui, ipotecando casa e uffici, nella speranza – vana - di rientrare prima o poi dai debiti, insomma che presto o tardi lo Stato paghi il dovuto.

Risultato? Nel 2011 il Tribunale dichiara il suo fallimento. Gli appioppa un curatore fallimentare e decide di mettere all’asta la sua villa, dove Bramini vive tutt’ora con moglie (da cui intanto si è separato), tre figli, una nipotina di 5 anni. E qui cominciano i nuovi problemi: il perito nominato dal Tribunale valuta il valore della sua villa in circa 700mila euro.

Che all'asta saranno decurtati di un altro 25%. "Una miseria – dice Bramini – tanto che ho fatto fare una controperizia: si erano dimenticati un mucchio di cose". Finiture di pregio, l’effettiva metratura (30 vani, 740mq, 2.320 mq di parco, con laghetto e piscina riscaldata), box doppio. "Persino i serramenti han scritto che sono di plastica, quando invece sono di acciaio e motorizzati".

In soldoni, la sua villa vale almeno 1 milione e mezzo di euro, anche se Bramini è disposto a venderla per molto meno. Il suo ricorso ha impedito per ora che fosse messa all’asta d’urgenza e lui gira davanti ai Tribunali per raccontare la sua storia: "Per vendere per i fatti miei la villa ho tempo fino al 6 aprile, quando il giudice deciderà sul mio ricorso. Spero quantomeno che mi concedano più tempo, una dilazione di almeno un anno. Altrimenti, passerà tutto al curatore fallimentare. Vivo della mia pensione e lavoretti vari, non ho più nemmeno i quattrini per pagare gli avvocati. E noi finiremo tutti in mezzo a una strada".

A meno che, spera Bramini, "lo Stato non si metta una mano sulla coscienza. Se sono fallito è stato per colpa sua, io sono sempre stato onesto. Anzi, il curatore fallimentare mi ha ritenuto colpevole: con la mia condotta avrei procurato un danno finanziario di un milione di euro alla mia ditta rifiutandomi di licenziare tutti i miei dipendenti e liquidare la mia azienda!". Bramini sospira: "Peraltro, beffa delle beffe, due anni dopo il mio fallimento è entrata in vigore una nuova legge europea: la mia posizione doveva venire stralciata dato che il fallimento dipendeva solo dai mancati pagamenti della pubblica amministrazione".

Crudele ironia delle cose, fra l'altro, Brambini si è ritrovato anche due denunce sul groppone. Quando alcuni dei suoi lavori al Sud proseguivano senza che gli fosse corrisposto neppure un euro e i ritardi nei pagamenti si stavano inquietantemente accumulando, Bramini per due volte per protesta aveva provato a far incrociare le braccia ai suoi dipendenti nella speranza di smuovere le acque. Risultato? Nessuno. O meglio, due denunce per "interruzione di pubblico servizio", dato che l'impresa dellì'imprenditore monzese si occupava appunto di un appalto pubblico.

Ora l'orologio ticchetta. E si avvicina la data del 6 aprile, quella della sentenza a proposito dell'ultimo ricorso presentato da Bramini. "Gli ultimi avvenimenti e in particolare il pericolo della messa all'asta di uno degli immobili ha determinato in me e la mia famiglia la volontà di vendere in blocco le nostre proprietà immobiliari. Si tratta della villa di via Sant'Albino 22 a Monza  e della palazzina di uffici a Bresso in via Marconi 25/a di 600 metri quadri: per i due stabili è richiesta la siomma di 1.100.000 euro. C'è disponibilità anche a vendere la sola villa a una cifra di almeno 780mila euro. Inoltre sono dispomnibile a un accordo regolarizzato legalmente per usufruire di quanto previsto dal Tribunale di Monza con la Conversione del Pignioramento o la Composizione della Crisi".