Sgomberata una mamma con 5 figli. E la protesta finisce in piazza Scala

La onlus Progetto Arca si è proposta di pagare l’albergo per la famiglia per una settimana, in attesa si trovi posto per tutto il nucleo in una struttura di prima accoglienza di Marianna Vazzana

Il picchetto in piazza Scala con tanto di tende (Newpress)

Il picchetto in piazza Scala con tanto di tende (Newpress)

Milano, 21 luglio 2015 - Dalla finestra del quarto piano scendono scatoloni, mobili, materassi. La piattaforma va su e giù fino al camion. Ma non è un trasloco come un altro: ai piedi del palazzone si contano cinque camionette della polizia circondate da una piccola folla, una scena che non si vede tutti i giorni. Siamo in via Belinzaghi 11, zona Maciachini, in un caseggiato Aler. «Un dispiegamento di forze spropositato - mormora la gente - per sgomberare una donna coi suoi cinque figli». Sul posto anche servizi sociali, Aler e rappresentanti del sindacato Unione Inquilini. Prima la resistenza, poi la trattativa, infine il rilascio dell’alloggio. Ma a quanto pare «non si trova una soluzione soddisfacente», così la famigliola decide di protestare in piazza Scala, davanti a Palazzo Marino, pronta a montare una tenda.

La soluzione viene trovata nel tardo pomeriggio: «La onlus Progetto Arca - spiega Alessandro Giungi, presidente della sottocommissione Carceri, che si è interessato alla vicenda - si è proposta di pagare l’albergo per la famiglia per una settimana, in attesa si trovi posto per tutto il nucleo in una struttura di prima accoglienza. Una soluzione ponte in attesa di qualcosa di stabile». La signora in questione ha 37 anni, si chiama Livia Dos Santos ed è arrivata a Milano dal Portogallo una ventina di anni fa. In via Belinzaghi ha abitato 18 anni, prima in veste di inquilina regolare, poi come occupante senza titolo. Sola, con cinque figli che oggi hanno 23, 18, 14, 13 e 8 anni, tutti tranne la primogenita nati a Milano, non riusciva a pagare l’affitto. E nel 2011 è arrivato lo sfratto per morosità. La signora, sottolinea Aler, aveva accumulato un debito di 60 mila euro. E dopo l’allontanamento aveva occupato lo stesso alloggio, diventando a quel punto occupante abusiva. Fino a ieri.

«La polizia ha bussato alla porta alle 8 del mattino. Abbiamo preparato le nostre cose in fretta e furia, i miei fratellini piangevano», dice Shen, il secondogenito, 18enne. All’ora di pranzo, la decisione di riconsegnare le chiavi. «Ma sono disperata, non ho un altro posto dove portare i miei bambini. Adesso lavoro, sono riuscita a trovare un posto come colf, e la mia prima figlia lavora come commessa. Potremmo pagare un affitto ragionevole». Ma ieri lo sgombero è stato portato a termine. L’alternativa proposta inizialmente? «Un posto in un centro di accoglienza ma solo per me e due bambini. Un terzo, minore, sarebbe stato ospitato altrove. Mentre per i più grandi, maggiorenni, nulla».

La 37enne ha rifiutato e si è sistemata, per protesta, in piazza Scala, supportata da rappresentanti del Comitato diritto alla casa e del residence sociale “Aldo dice 26X1”.«Da anni seguiamo questa famiglia - afferma Bruno Cattoli, segretario dell’Unione Inquilini -, un caso delicato. Abbiamo chiesto di procedere in base all’articolo 34 comma 8 della legge regionale 27 del 2009», il quale stabilisce che l’ente proprietario può utilizzare il proprio patrimonio non destinato a edilizia residenziale pubblica per far fronte allo stato di necessità di nuclei familiari con determinati requisiti, da accertare con una commissione apposita. Gianni Belli, dello stesso sindacato, riflette sulla condizione degli alloggi: «Ne viene liberato uno, si unirà alle altre migliaia di case vuote?». A fianco della signora Dos Santos c’è Laura Boy, del Comitato Diritto alla casa e del residence sociale “Aldo dice 26x1”. «È stato necessario portare la protesta fino in piazza Scala per ottenere una soluzione dignitosa. Saremmo rimasti a oltranza».

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