Fuorisalone Statale, design maxi dalla torre di Babele 2.0 alla casa del viandante

Al via la rassegna dal titolo «Open borders». L’assessore Tajani: «Pensare a un nuovo momento del design a ottobre» di LUCA ZORLONI

Installazione del Fuorisalone in Statale

Installazione del Fuorisalone in Statale

Milano, 11 aprile 2016 - Una torre al centro dei chiostri, un cilindro di luci, immagini e disegni, che il viandante del Fuorisalone di Milano, abituato a fare tappa all’università Statale di Milano per la mostra di design in formato gigante, può personalizzare, disegnando o scrivendo sulla maxi-installazione da una piccola lavagna interattiva. Come si faceva da bambini, sulle placchette di plastica, così il russo Sergei Tchoban ha voluto creare per la rassegna della rivista «Interni» nei chiostri della Statale un’opera che non conosce confini, proprio come recita il titolo di questa edizione: «Open borders», frontiere aperte. «E’ una torre di informazioni – spiega Tchoban – che parla di differenze e contrasti. Ma l’architettura è una lingua che non ha bisogno di essere tradotta» e quindi niente paura, chiunque potrà sentirsi artista per un giorno e avere i suoi minuti di celebrità mentre verga, con inchiostro virtuale, il proprio disegno elettronico su questa moderna torre di Babele.

Il design torna anche quest’anno nel suo salotto del centro, i chiostri dell’università Statale di Milano, con la consueta sfilata di idee architettoniche. Come i tendaggi a nastri che dalla seconda galleria del palazzo quattrocentesco piombano al centro della corte, ideati da Ma Yansong, una sorta di patio-pagoda che usa però «nuovi materiali, più trasparenti», che secondo il professionista cinese sono il modo per innovare i vecchi edifici, «pesanti». Massimo Iosa Ghini gioca con pietre e piastrelle nel suo «In/out», un padiglione che sembra una roccia levigata dall’acqua, all’interno del quale la forza degli elementi si scatena sugli spettatori. Mentre il duo Parisotto-Formenton cita «La notte» di Michelangelo Antonioni e la scena tra Marcello Mastroianni e Monica Vitti, immaginando di ricostruire il patio in cui i due attori hanno recitato.

Stefano Boeri costruisce un chiostro nel chiostro, una «radura» delimitata da colonne di pino, che isola una fazzoletto del cortile del Filarete, mentre quello del Settecento è punteggiato delle casette del viandante, ispirato ai ristori dei commercianti e dei pellegrini del passato, ma molto attuale, sulla scia del ritorno delle vacanze on the road, tanto da diventare una bozza di albergo diffuso. E mentre lo studio Carlo Ratti associati si cimenta con le nanotecnologie, sotto forma di membrane fotoniche che riflettono le radiazioni solari e potrebbero contribuire a ridurre la temperatura delle città, Patricia Urquiola scompone i Fuukei giapponesi, tradizionali pannelli con dipinti di paesaggi del Giappone, in un muro di solidi e forme geometriche. La mostra, che dura fino al 23 aprile, prosegue all’orto botanico di Brera e alla Torre Velasca, colorata di rosso da Ingo Maurer e animata da grossi ragni, ispirati alle «Lezioni americane» di Italo Calvino, da Piero Lissoni per Audi. E Cristina Tajani, assessore del Comune di Milano a Moda e lavoro, spiega che si sta pensando «di proporre anche in un altro momento dell’anno un momento di riflessione sulla ricerca del design post-industriale. Oggi la domanda supera l’offerta e si può pensare a un momento a ottobre in cui riflettere, che rifletta i temi di quella di aprile».

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