
Il laboratorio all’ospedale Sacco
I continui arrivi di immigrati sulle coste siciliane, e di conseguenza anche in Lombardia, continuano a provocare polemiche. In particolare la Lega Nord, contraria a un’apertura indiscriminata delle frontiere, in questi giorni è tornata a puntare il dito. Alcuni casi di tubercolosi, alcuni registrati anche fra i soccorritori dei migranti, e soprattutto l’incubo del virus Ebola, che ha colpito paesi dell’Africa occidentale e da poco anche la Nigeria, ha fatto sì che il consigliere regionale del Carroccio Fabio Rolfi presentasse un’interrogazione al Pirellone chiedendo di mettere in quarantena gli immigrati in arrivo. Immediata la reazione del Pd: «proclami allarmisti a sfondo razzista». Ma il pericolo esiste? Per fortuna al lavoro ci sono esperti di grande professionalità come medici e tecnici del laboratorio altamente specializzato dell’ospedale Sacco di Milano.
di Rossella Minotti
Milano, 6 agosto 2014 - La professoressa Maria Rita Gismondo è direttore del laboratorio di Microbiologica clinica, Virologia e bioemergenze al polo universitario Luigi Sacco di Milano. Il laboratorio è fra i venti del mondo, e unico a livello 4 (BSL4) in Italia, e ha ricevuto l’autorizzazione del Ministero della Salute a fare diagnosi di Ebola e altre malattie emorragiche.
Professoressa, com’è la situazione? Ci dobbiamo preoccupare? «Devo anzitutto premettere che dell’Ebola sappiamo relativamente poco. È un’infezione apparsa per la prima volta nel ’76 in Africa, e per il numero fortunatamente limitato dei casi abbiamo avuto poche possibilità di indagini. Però è certo come avviene il contagio: per contatto diretto tra uomo e uomo attraverso fluidi, sangue, saliva, persino il sudore, ma si può contrarre anche toccando oggetti utilizzati dagli ammalati, un lenzuolo ad esempio».
Un rischio alto quindi. «Il rischio di infezione è altissimo. Tra l’altro mentre prima si sapeva che l’incubazione era molto breve, due-tre giorni al massimo, ora si è evidenziato che si può protrarre fino a 21 giorni. Non sappiamo se si tratta di una nuova forma».
Come nasce questo virus? «Ebola vive come serbatoio naturale negli animali selvatici e negli insetti delle piante. Poi visto che in quelle zone ci sono pratiche tribali particolari è facile raggiunga l’uomo. Ad esempio le scimmie si possono infettare e la popolazione le maneggia, alcune le mangiano anche morte. Un alto rischio deriva dalle pratiche per trattare i cadaveri, che loro spalmano con oli ed essenze, estraendone il sangue. E se una persona è morta di Ebola se ne infettano almeno altri dieci. È un problema di educazione culturale».
Qual è il rischio reale che Ebola possa arrivare in Italia? «I Paesi in cui c’è l’epidemia hanno una popolazione poverissima, che ha difficoltà anche ad affrontare un viaggio per emigrare, sono popolazioni rurali molto disagiate. Io penso che nessuno possa dire né che il pericolo è 0, né che è imminente. Certo potrebbe tornare un volontario che si è contagiato o potrebbe arrivare un immigrato contagiato. Non voglio diffondere panico ma un’attenzione e un cordone sanitario direi che dovrebbero essere attivati».
La vostra struttura è stata allertata? «Noi viviamo in allerta tutti i giorni, siamo sempre preparati al fatto che potrebbe arrivarci un campione ad alto rischio. Certo l’attenzione in questi giorni è più alta, io che sono responsabile del coordinamento bioemergenza ho fatto diversi incontri con tutto il gruppo. Per ora possiamo dire che un arrivo di Ebola è altamente improbabile».
Come siete organizzati? «Lavoriamo in stretta collaborazione con la Regione e siamo attrezzati per qualsiasi tipo di emergenza. Abbiamo un’alta struttura di contenimento, il laboratorio livello 4. Teniamo presente che Ebola ha una mortalità del 90 per cento, ma l’accertamento diagnostico non è difficile e questo ci conforta».
Come viene diagnosticata? «Deve essere fatto un test in cabina di alto isolamento, diciamo che se c’è un caso sospetto gli ospedali dovrebbero mandare sia il paziente che i campioni da noi al Sacco».
Tutti gli ospedali sono preparati? «I sintomi sono simili a quelli di altre malattie tropicali, ma un infettivologo dovrebbe poter facilmente risalire se una persona è arrivata da lì».
La gente non può fare nulla per prevenire? «No e comunque in Europa non c’è mai stato un caso. Se ci sarà bisogno Ministero e Regioni si attiveranno per dare consigli. Il piano di contenimento dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) è molto attivo ed efficiente. Anche i Paesi africani hanno limitato i voli dalle nazioni in cui è diffusa l’epidemia, una decisione coraggiosa che spesso non viene presa per paura di seminare il panico e per evitare ripercussioni economiche negative».
La Lega Nord chiede la quarantena per gli immigrati che arrivano in Lombardia. «Io per mio approccio non ascolto mai nessuno se non i tecnici. Che parli la Lega o il Pd il mio testo sacro è l’Oms che invia quotidiani dettagliati aggiornamenti sulla casistica al ministero della Salute che li trasmette ai centri di riferimento come il nostro. Comunque sto per partire per il meeting internazionale di Ginevra che darà indicazioni strategiche più dettagliate. C’è un piano di investimenti molto importante, e l’epidemia di Ebola viene vista anche nell’ambito del gruppo G7 perché non ha solo un’implicazione sanitaria ma anche strategico-politica. L’attenzione del mondo su questa infezione c’è, tanti sono i soldi stanziati anche da donatori. La cosa importante è non seminare panico ma nello stesso tempo prendere misure adeguate non dettate da orientamenti politici».
Si parla anche del ritorno della Tbc portata dagli immigrati. «La Tbc non ce l’hanno riportata gli immigrati, visto che in Africa non è così frequente. Eventualmente loro si ammalano e si aggravano qui perché vivono in condizioni disastrate, condizioni tali che chiunque di noi svilupperebbe le stesse malattie».