Renzo Piano: "La grande scommessa sono le periferie, progetto sul Giambellino vada avanti"

A tu per tu con Renzo Piano: sui quartieri niente pressapochismo

Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni  insieme all’architetto Renzo Piano e al prefetto Luciana Lamorgese A destra, l’immagine di Piano proiettata sul muro del Museo Da Vinci

Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni insieme all’architetto Renzo Piano e al prefetto Luciana Lamorgese A destra, l’immagine di Piano proiettata sul muro del Museo Da Vinci

Milano, 9 aprile 2017 - «Le periferie sono la grande scommessa delle città». Ne è convinto Renzo Piano, che stavolta preferisce parlare non solo da architetto ma anche da senatore a vita e, soprattutto, da «uno di periferia». Sembra un passato ormai lontano quello del Piano Renzo nato a Pegli, quartiere della Genova di Ponente. Sembrano giorni ormai trascurabili quelli in cui il giovane Piano Renzo abitava «al Lambrate, in via Valvassori Peroni», dopo aver preferito «l’altamente imperfetta Milano» alla «troppo perfetta Firenze». Invece il suo legame con le periferie va avanti anche ora che l’archistar a Milano vi atterra. Via Parigi. Imperterrito nel tempo, il sentimento di periferia. E non soltanto per quei 13 anni suo malgrado trascorsi nell’attesa e nello stallo prima che il ponte da lui ideato potesse essere montato in quel del quartiere Ponte Lambro, periferico assai. Se il legame continua è perché «nascere in periferia ti fa crescere dei desideri». «E i desideri non sono voglie» precisa Piano. Durano più a lungo. E poi poco più di un anno fa Piano ha contribuito alla messa a punto e alla valorizzazione del piano di ricucitura di una periferia milanese che dire storica è dire un’ovvietà: il Giambellino-Lorenteggio. «Spero proprio che il sindaco Giuseppe Sala porti avanti il piano per il Giambellino, che se ne parli» scandisce a domanda e senza avere l’aria di chi teme il contrario.

«A Milano ho vissuto magnificamente» assicura Piano. Ma ieri avrebbe preferito parlarne meno. Parlare meno di Milano e meno di periferie. Nessuna contraddizione, è solo che l’archistar si trovava in città, per l’esattezza in quel del Museo della Scienza e della Tecnologia di via Olona, per presenziare al lancio della tabella di marcia di Casa Italia, l’ambizioso piano di prevenzione dei danni da terremoto varato dal Governo Renzi. Insieme a lui ci sono il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e Giovanni Azzone, che di Casa Italia è project manager dopo essere stato rettore di quel Politecnico che Piano confessa di aver «occupato, da studente, quattro anni prima del maggio ’68». Preferirebbe continuare a parlare di sisma e di quella moderna diagnostica capace di limitare l’invasività degli interventi di messa in sicurezza degli stabili e di prevenire e ridurre crolli e danni. Quel progetto per il quartiere Giambellino, suggerisce però Piano, «è una goccia» nel mare metropolitano. Ma in questo non c’è nulla di riduttivo, anzi. «Anche lo gocce sono importanti.

E quando si parla di periferie non si può essere generici» ammonisce l’archistar. Ogni intervento deve avere quel limite virtuoso capace di renderlo calzante per il contesto. Deve avere la dote dell’opportunità e della funzionalità. Ecco perché Piano ama parlare di «rammendo», di «ricucitura» di pezzi di città. è un’operazione quasi chirurgica, proprio come la messa in sicurezza antisismica degli stabili. «Io sono uno di periferia, sono nato a Pegli. Quartiere di Genova, a ponente» scandisce fiero e pacifico. «Le periferie sono la grande scommessa di tutte le città, le metropoli, Milano non fa eccezione» ripete. Venerdì sera, quando è atterrato in città, ha fatto fatica a riconoscerla, la sua Milano. «Sono andato a cena in corso Garibaldi e... non l’ho riconosciuto» svela Piano. «Mi piace» fa poi sapere a chi sospettava che quel suo senso di straniamento fosse da declinare e interpretare in negativo. Ma di negativo nelle parole proferite ieri da Piano sembra esserci davvero poco. L’architetto ha esortato tutti a recuperare «l’orgoglio della bellezza del nostro Paese» e a «smettere di parlare di fatalità». «La natura – spiega Piano a proposito del sisma – non è né buona né cattiva. È indifferente. Ma ci ha dotato della nostra intelligenza per difenderci anche da questo mostro che è il sisma». E Milano in questo appello ha un ruolo centrale, a differenza di quanto si possa immaginare: «Sono contento che Casa Italia sia presentata in questo museo. Perché è il Museo della Scienza. E in questa città. Perché Milano è la città della scienza e da qui possiamo uscire dal medioevo della fatalità».

giambattista.anastasio@ilgiorno.net

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